Di Maio al balcone per alcuni già faceva tanto Mussolini, figurarsi poi quando ha osato dire che col bancomat del reddito di cittadinanza sarebbero state vietate le spese goderecce. Apriti cielo! Per una certa opposizione che da tempo grida al fascismo incombente questo ha definitivamente consolidato la certezza di avere a che fare con un caudillo sudamericano che indica la retta via o un Ayatollah con intenti moraleggianti. Siamo davvero certi che quel terrazzino sia foriero di una nuova piazza Venezia? Non sarà che quel gridare al fascismo nasconda piuttosto un vuoto di idee proprio di chi non ha nulla da dire e dunque paventa la dittatura?

Per primo fu Calenda a intuire che la sola salvezza per un partito in caduta libera poteva essere l’arruolamento in un grande fronte repubblicano di stampo antifascista. Questo progetto ha allettato diversi esponenti di spicco della sinistra, attratti dalla possibilità di presentarsi alle Europee sgravati dal fardello di un simbolo perdente. Un progetto nebuloso e raffazzonato, pensato da chi ha sofferto di un’amnesia selettiva che ha cancellato i vocaboli storici della gauche oggi usati da altri. Come ad esempio Di Maio, che questa lingua, a differenza loro, la mastica.

Dove erano questi neo partigiani quando il suddetto sosteneva che le aziende che delocalizzano dopo aver preso denaro pubblico, devono pagare il loro redde rationem? O quando bandiva la pubblicità del gioco d’azzardo? Erano forse confusi nella folla che, come davanti a Pilato, ne gridava la crocifissione perché illetterato? Sì, erano lì. Nel posto sbagliato della storia. A sghignazzare, come adesso, sorpresi nel sentire pronunciare da altri quei termini popolari che essi hanno disimparato. È infatti assodato che buona parte del popolo perso nel bosco, oggi claudicante e disorientato, dà il suo sostegno a questo governo giallo verde.

Da anni abituato alle vuote iperboli renziane, ha dovuto prendere atto che quei concetti cari al mondo del lavoro, gettati dal renzismo fuori dal finestrino in corsa come una lattina di birra accartocciata, sono stati raccattati da altri e rimessi in circolo. Una deriva fascista? Siamo seri, Di Maio con le sue esternazioni occupa semplicemente una posizione paterna, contrastando il soddisfacimento del libero godimento che, specie in tempi di crisi, trova nella sigaretta o nei dadi del tavolo verde la risposta a una condizione di povertà e marginalità asfissianti.

Indimenticabile a tal proposito la scena finale del film Nosferatu di Werner Herzog, nella quale gli invitati banchettano e indugiano nei piaceri del palato perché c’è la peste e ogni giorno può essere l’ultimo. Il vicepremier incarna, in maniera castrante, il padre che dice “non devi cedere a piaceri fuorvianti. Non pagherò i tuoi eccessi di bacco e tabacco”. Nessun Duce dal balcone dunque, cerchiamo di essere rispettosi della storia.

Eppure tra il popolo del Pd trovatosi in piazza, questa linea del “buon padre di famiglia” doveva fare breccia. Se ciò non è accaduto, è perché hanno già dimenticato la lezione dello psicoanalista di riferimento di Renzi che metteva in guardia dall’avvento di un godimento acefalo, dannoso in una “patria senza padri”.Certo, al diroccato quartiere generale della Leopolda non devono averla presa bene quando han visto che quel posto di pater ragionevole è stato occupato da quel Di Maio sul quale il fondatore della scuola politica Pasolini esprimeva “sgomento” perché espressione del “polo puramente adolescenziale del M5s“.

È andata ben diversamente. Gli adolescenti che gridano in maniera scomposta ci sono, ma sono quelli che erano in gita a Piazza del Popolo il 30 settembre, bramosi di saltare sul carrozzone antifascista. E come tali, catapultati in una piazza caricata di pullman con merenda e cestino, non sono mai andati oltre gli slogan, dovendo ripescare il tritatissimo motto renzicalatista “Uniti contro l’odio”.

Che fare se hai governato anni da sfaccendato, senza risultati da vantare? Che dire se non hai nulla da dire? Come sperare nel grande Fronte repubblicano antifascista che ti permetta di imbucarti alle Europee? Semplice, basta puerilmente buttare tutto in vacca. Fascismo! Fascismo! Ciò che essi non capiscono, ciò che non conoscono, chiamano fascismo. E fascisti tutti coloro i quali, da ex elettori di sinistra, ascoltano increduli il loro desueto lessico tornare in auge. La minaccia nera delocalizzata fuori le mura assolve al bisogno di edificare un nemico incombente, il solo che possa tenere incollate le fragili pareti del loro Cln privo di fondamenta, altrimenti destinato a collassare.

Nulla come un nemico può tenere assieme un gruppo, è questa la lezione freudiana che hanno ben appreso. La loro miopia politica ascrive il consenso che questo governo incredibilmente miete ad agenti sovrannaturali o ai piovaschi, what else? Nella loro interpretazione i lividi fomentatori di rabbia, una volta al potere, avrebbero magicamente piegato le masse al loro volere come Saruman con le folle di Uruk ay.

È ovvio! La verità è che non si tratta di un montante di destra improvvisamente divenuto maggioranza nel Paese, ma di qualcosa che preesisteva alle loro lenti opache e incapaci di leggere il quotidiano. Perché svegliare questi ragazzi “sdraiati” (per dirla con Serra), che per anni sullo scranno non hanno combinato nulla? Perché dirgli che sono causa della fuga del popolo verso le braccia di Conte? Se avessero dedicato tempo a leggere il rapporto Censis del 2017, si sarebbero resi conto che quel rancore sociale diffuso poteva sfociare in odio di massa se non governato, ascoltato. Ma ciò essi non lo hanno saputo fare. Era troppo faticoso. È stato più semplice dare per certe truppe di camerati col fez che puntano al cuore della democrazia.

Questi novelli De Gaulle non si sono manco resi conto di quanto veloce è stato quell’attimo in cui popolare è diventato populista, in cui il bisogno è diventato una necessità. Intenti a biascicare le loro parole stantie si sono trovati costretti a vedere in faccia gli occhi, le mani, le urla di quella gente tanto declamata e mai davvero ascoltata. Questi leggono Veltroni e vanno di tweet, mica Steinbeck. Per questo nella loro ottica da spioncino la fame delle persone, la rabbia per i posti di lavoro persi, per i diritti negati, per una pensione divenuta chimera, si sono tramutate in un eja, eja, alalà che risuona in quelle città che non hanno quasi mai abitato, spesso paracadutati in aula forti di pluricandidatute in collegi multipli e blindati. La manifestazione a Roma era “L’Italia che non ha paura?“. I soli ad avere paura di scomparire, sono loro.

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