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Bolsonaro, in Brasile hanno vinto i delusi. Quando niente funziona la ragione non conta più

È un fenomeno conosciuto benissimo ormai da decenni. Se ne occupa la psicologia e se ne parla anche nei workshop di grandi aziende, specie quelli relativi al commerciale, alle vendite, al marketing. Lo so per esperienza diretta. Ovvero le motivazioni di acquisto sono perlopiù emotive e del tutto irrazionali. E questo vale per tutto. Dalla scelta del partner al corso di studi, dal tipo di lavoro preferito all’acquisto di una giacca.

Questa simpatica caratteristica umana è un’arma a doppio taglio, poiché se è consigliabile ascoltare il cuore in molte scelte nella vita, quando si deve dare un voto, ovvero “comprare” un candidato le cose sono messe un po’ diversamente. Ed entrano in gioco diversi fattori emotivi non necessariamente legati direttamente al cuore. Ci sono in ballo la sopravvivenza, il lavoro, la salute, la sicurezza, lo sviluppo economico e culturale.

Una quantità di intellettuali in Brasile e anche nel resto del mondo sta facendo di fatto campagna contro Bolsonaro. In Brasile, superstiziosi, non vogliono nemmeno nominarlo, si rivolgono a lui con “Ele não” (Lui no), lo chiamano “o coiso” (il coso). Militare (in riserva), nostalgico della dittatura, omofobo, antifemminista, razzista. Uno capace di dire frasi tipo “non ti stupro perché non te lo meriti”, amante delle armi e dei toni violenti. Francamente aggressivo e maleducato.

Proprio questi toni violenti per molti sono invece indice di schiettezza. Capire come un individuo simile abbia raccolto il 46% di consensi al primo turno è semplice. Un Paese in profonda crisi sul piano economico e sociale, violenza inaudita nelle favelas, corruzione. Chi vive vicino alle comunità povere, ma ricche di trafficanti non ne può più di avere paura. I disoccupati e gli sfruttati di queste stesse comunità, non ne possono più di vivere in povertà.

Ma l’elettorato di Bolsonaro è trasversale.

Prende i fazenderos ricchissimi che se ne strafregano dei diritti umani e odiano gli indios che bivaccano su terre che secondo loro si potrebbero sfruttare al massimo con gli armenti. E Bolsonaro ha detto che non lascerà un centimetro quadrato di terra agli indigeni. È la cosa che personalmente mi spaventa di più. Decenni di lotte per i diritti umani buttati nelle fogne.

Prende i giovani benestanti che non ne possono più di vivere in un Paese considerato tutto sommato ancora del terzo mondo. E questi ultimi sono dei fighetti frustrati che pensano perlopiù solo ed esclusivamente al proprio tornaconto, sognando l’America, o meglio la Merica, come dicevano i migranti a inizio 900. Prende benpensanti che ritengono seriamente che un uomo forte sia l’unica soluzione.

Prende i delusi del Pt che negli anni passati ha impazzato con la corruzione dendritica a tutti i livelli. Prende una quantità di ignoranti, spesso analfabeti, che vivono da generazioni nel disagio e non hanno altre alternative che il narcotraffico o lo sfruttamento, talvolta vera e propria schiavitù. Questi ultimi proverebbero qualsiasi cosa che possa anche lontanamente sembrare una possibilità di cambiamento. Tanto, peggio di così, si muore, letteralmente.

La propaganda di basso livello con questi è come un coltello caldo nel burro. Vallo a spiegare che anche lui ha allignato e vagato tra diversi partiti e di sicuro non è estraneo alla corruzione. E a proposito di coltellate, quella che se presa “o coiso” ha fatto più bene che male alla sua possibilità di vittoria. Ma non basta. I pastori evangelici, potenti e in ulteriore ascesa nel paese, arringano le loro pecore che votare a sinistra è peccato.

È quasi banale. Quando più niente funziona le élite si possono permettere il lusso di ragionare e osservare, mentre quelli che, per una ragione o per l’altra, stanno male no. Lula non ha potuto candidarsi e il suo delfino Haddad fa quello che può, con una eredità di corruzione, dubbi e il suo capo in galera. Se Bolsonaro vince si tratta di una svolta a destra decisissima. Potrebbero esserci delle proteste e, se accadesse di arrivare a uno scontro fisico, la polizia e l’esercito brasiliani (già prima avvezzi a non andare troppo per il sottile) potrebbero reprimere in maniera tutt’altro che piacevole.

Bolsonaro, di fatto, è per molti l’ultima spiaggia di un Paese complesso e che potrebbe essere ricco, ma non riesce a liberarsi da strascichi di colonialismo, incompetenza e corruzione. Peccato che Federico Finchelstein, storico argentino di altissimo rilievo, uno dei maggiori esperti del fascismo sia europeo che sudamericano, lo paragona in un recente articolo a Goebbels, e il suo populismo più che a quello di Berlusconi a quello di Hitler.

Preferisco però chiudere con una nota molto positiva. Per la prima volta nella storia del Paese è stata eletta in qualità di deputato federale una donna indigena: Joenia Wapichana. Avvocato del Roraima, riuscì a laurearsi lavorando di giorno e studiando di notte. Joenia Batista de Carvalho, questo il suo nome di battesimo, da decenni si batte per i diritti umani e dei popoli indigeni. Nel 2004 ha ricevuto il Reebok Award per il suo impegno in difesa dei diritti umani e nel 2010 è stata insignita dell’Ordine di merito culturale dal ministero della Cultura brasiliano. Nello sfacelo generale un significativo segnale di cambiamento positivo.