C’è posta per noi.
Il proiettile calibro 7,65 recapitato in un’elegante busta gialla ieri mattina a Claudio Fava non aveva un unico destinatario. Se così interpretassimo la vicenda faremmo due torti, uno a Claudio Fava e uno all’intelligenza criminale che ha messo i francobolli su quella busta.
A Claudio, innanzitutto, perché lo lasceremmo solo ad affrontare l’ennesima minaccia a lui indirizzata caricando solo sulle sue spalle battaglie, anche quelle che sta affrontando in questi mesi di presidenza della Commissione regionale antimafia in Sicilia, che o diventano collettive o difficilmente possono diventare vittorie.
E anche a chi ha imbustato quel proiettile che, certamente, non poteva pensare di intimidire chi da 40 anni, pagando un prezzo altissimo in prima persona, ha scelto da che parte stare.
Quella busta, quindi, è per noi. Per tutti noi. E dovremmo sentire in prima persona non tanto la minaccia ma l’offesa. Forte, violenta, imperdonabile.
In questi mesi Fava ha aperto indagini conoscitive che spaziano dal così detto sistema Montante al depistaggio su Via D’Amelio, dal Mercato ortofrutticolo di Vittoria alla lunga sfilza di minacce e intimidazioni nei confronti degli amministratori locali in Sicilia. Temi che toccano, spesso, quella zona grigia fatta dai rapporti tra la mafia e altri poteri (economici o dello Stato) così complessa e così essenziale per giungere non solo alla verità ma anche al disvelamento stesso di quei rapporti.
In quella zona grigia si celano i misteri di questo Paese e gli ostacoli ad un libero sviluppo della Sicilia. E proprio per questo fa paura.
Quel proiettile, quindi, non potendo intimidire Fava prova a ricordare a tutti, dovrebbe ricordarlo anche al ministro degli Interni ed a questo governo, non solo che il potere mafioso non è scomparso ma che, nel suo continuo mutare e inabissarsi quasi a rendersi invisibile, resta la primaria emergenza non solo in Sicilia. Quella busta contiene un terribile memento non di passate stagioni ma di un presente in cui l’abbassarsi della soglia di interesse, purtroppo anche nel mondo dell’informazione, rischia di isolare e di creare il presupposto per nuove sanguinose stagioni.
Molti dei messaggi di solidarietà e vicinanza a Fava, credo, abbiano colto esattamente il rischio di una situazione simile. Non limitandosi a una doverosa condanna del gesto ma invocando una nuova fase di riflessione sul fenomeno mafioso e sulle sue ramificazioni contemporanee. Che poi è lo spirito con cui la commissione antimafia in Sicilia si sta muovendo, pur tra mille difficoltà.
Se quel proiettile 7,65 riuscissimo a sentirlo indirizzato a noi tutti, allora, potremmo non solo non averne paura ma trasformarlo in una nuova e rinnovata energia per un percorso che non può essere solo di un uomo nelle Istituzioni, ma una marcia collettiva per la verità e per cambiare questa nostra isola. È una sfida grande, enorme e assolutamente necessaria.