L’opera diretta dal regista romano in uscita nelle sale il 18 ottobre per 01 Distribution, mantiene ed anzi esaspera l’impatto feroce (e violentissimo) sugli universi narrati, estremizzando la proliferazione dell’inganno quale unica regola rispettata nei labirinti del crimine
L’anarchia di frontiera, la criminalità globalizzata, l’umanità come merce di scambio. In Soldado salta tutto, l’unica regola a persistere è il caos su ogni fronte, polvere sottile e ancor più letale della coca che qui viene a rarefarsi. Forte di 20 milioni di dollari in tre giorni al botteghino Usa dove è uscito il 29 giugno, Stefano Sollima conferma di avere i numeri da giocarsi a Hollywood e si propone come ottimo timoniere del sequel di Sicario, uno dei possenti tasselli nella filmografia di Denis Villeneuve. Alla base resta uno sceneggiatore dal pedigree inconfondibile, Taylor Sheridan, capace di amplificare gli action thriller in drammi esistenziali. Ma serve subito chiarirsi le idee: Soldado non è solo il seguito di Sicario ma è anche il capitolo intermedio di un’annunciata (o almeno evidente) trilogia, e dunque non solo esiste in quanto erede del predecessore ma si porta addosso il carico di un ruolo preparatorio a – possibilmente – un grande epilogo.
L’opera diretta dal regista romano, vista a Ciné – Giornate di Cinema di Riccione prima della tappa il 15 luglio al Global Ischia Film Festival e in uscita nelle sale il 18 ottobre per 01 Distribution, mantiene ed anzi esaspera l’impatto feroce (e violentissimo) sugli universi narrati, estremizzando la proliferazione dell’inganno quale unica regola rispettata nei labirinti del crimine del cartello messicano, a tutti gli effetti etichettato come “terrorismo” dalle istituzioni statunitensi. L’esplosiva scacchiera è perfettamente concepita per far comprendere allo spettatore che in gioco è la sopravvivenza, e che in virtù di essa chiunque – inclusi e soprattutto gli adolescenti coprotagonisti – può giustificare atti criminosi. Fedele a se stesso, Sheridan mette al centro delle argomentazioni le questioni famigliari, i legami tormentati che complicano le scelte e i relativi scrupoli dei suoi ruvidi protagonisti: torna dunque il “sicario/soldado” vendicatore Alejandro/Benicio Del Toro più o meno manovrato dall’agente federale Matt Graver/Josh Brolin a scatenare “una guerra contro tutti”, sparigliando strategie di offensive e controffensive, costruendo tripli salti mortali in un infinito susseguirsi di colpi di scena.
Sollima ha la qualità di spettacolarizzare il racconto cinematografico, infondendovi l’ormai consolidato sguardo action, forse ancor più estremo dello stesso Villeneuve, con cui sono equamente condivise tensioni sonore (il severo tema musicale del compianto Johannsson prosegue nella composizione del connazionale islandese Guðnadóttir) e visive, anche se alla fotografia il genio di Deakins è sostituito con il meno superlativo sguardo di Wolski. Se dunque esiste un problema in Soldado che lo rende “fratello minore” di Sicario (il titolo inglese è comunque Sicario: Day of the Soldado) questo giace nella sceneggiatura firmata da Sheridan. Ciò che manca in questo suo testo è un punto di vista forte e profondo, elemento che invece aveva impreziosito la scrittura del primo film ed era incarnato nel personaggio dell’agente federale Kate Macer, interpretata da una splendida Emily Blunt. Dal suo sguardo gli orrori della guerra al (fra) cartello (i cartelli) assumeva una dimensione meglio problematicizzata, di cui Soldado è invece carente. Serve dunque attendere il completamento della trilogia per formulare una riflessione più accurata, fermo restando che nel suo genere l’esordio hollywoodiano di Stefano Sollima merita un plauso a piene mani.