Fatto a pezzi con una sega dentro al consolato saudita di Istanbul, “come nel film Pulp Fiction“, e trasportato fuori all’interno di un minivan nero, un Mercedes-Benz Vito. Una fonte investigativa turca citata dal New York Times, apre un nuovo e più cruento scenario sulla scomparsa del giornalista di origine saudita, Jamal Khashoggi, sparito dopo essere entrato nell’ufficio diplomatico del suo Paese per sbrigare le pratiche per il matrimonio. A ucciderlo sarebbe stata una squadra di 15 agenti sauditi arrivata, come filtrava martedì da alcune indiscrezioni, direttamente da Riyad. Dopo aver dato l’ok alle perquisizioni all’interno del consolato, i sauditi ci ripensano: “Ankara ha esposto i nostri agenti, non entrano”. È scontro diplomatico.
“Ucciso e fatto a pezzi”, i sicari sarebbero uomini della monarchia saudita
L’omicidio sarebbe stato “premeditato”, come anticipato dalle rivelazioni del Washington Post che, il 7 ottobre, citava fonti investigative, e commissionato direttamente dagli ambienti vicini alla monarchia degli al-Saud. Ad avvalorare quest’ultima teoria, ci sarebbe la rivelazione del Middle East Eye che ha individuato, tra i 15 agenti, tre membri dell’unita d’élite incaricata della protezione personale del principe ereditario di Riyad, Mohammad bin Salman. Tra loro, scrive invece il New York Times, c’era anche un “esperto di autopsie, presumibilmente per aiutare a smembrare il cadavere”.
A supporto della teoria del minivan, arrivano anche un video diffuso dalla tv privata turca Kanal 24, molto vicina agli ambienti governativi di Ankara, che ha mostrato le ultime immagini del giornalista mentre entrava nel Consolato e quelle di un minivan nero uscito poco dopo, sostenendo che al suo interno si trovava il cadavere del reporter. Il mezzo avrebbe percorso circa 2 km, parcheggiando poi in un garage nella residenza del Console saudita. Per questo, le autorità turche hanno chiesto al governo di Riyad la possibilità di svolgere un’ispezione anche nella residenza, dopo aver accettato una perquisizione all’interno dell’ufficio diplomatico.
Anche il quotidiano filo-governativo Sabah ha pubblicato dei fermoimmagine delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto Ataturk di Istanbul in cui si vedono i 15 presunti agenti sauditi giunti in città a bordo di due jet privati lo stesso giorno della sparizione del reporter e ripartiti dalla sede diplomatica poche ore dopo. Il giornale ha anche pubblicato i nomi dei 15 agenti, definiti “lo squadrone della morte”. La maggior parte di loro ha soggiornato presso il Wyndham Grand Hotel e il Movenpick Hotel, entrambi vicini al consolato saudita. Una fonte vicina alle indagini ha precisato al Middle East Eye che uno dei 15 sospetti è a capo del dipartimento forense della Sicurezza generale saudita.
A sollevare ulteriori dubbi sull’estraneità degli ufficiali sauditi, come riporta il quotidiano Hurriyet, c’è la comunicazione dei vertici dell’ufficio consolare che ha ordinato ai 28 dipendenti turchi di non presentarsi a lavoro il 2 ottobre, giorno della scomparsa di Khashoggi. Le autorità di Riyad avrebbero motivato la decisione spiegando che era previsto un “importante incontro diplomatico”.
Il governo saudita ha sempre definito “senza fondamento” e “infamanti” le accuse nei confronti del governo, tanto da proporre, anche per bocca del principe ereditario Mohammad bin Salman, una perquisizione all’interno dell’ufficio diplomatico. Quando, però, il team di investigatori turchi si sono presentati davanti all’ingresso degli uffici consolari, gli alti funzionari di Riyad hanno impedito loro l’accesso. Secondo fonti di sicurezza di Ankara, citate da media locali, i sauditi avrebbero espresso irritazione verso la Turchia per aver esposto pubblicamente i suoi 007 e averli accusati senza prove.
Usa: “Pronti a inviare Fbi”. Wp: “Usa conoscevano i piani sauditi”
Per cercare di fare maggiore chiarezza, gli Stati Uniti si sono offerti, nel caso in cui l’Arabia Saudita lo ritenesse necessario, di inviare a Istanbul una squadra di investigatori Fbi per indagare sulla scomparsa del giornalista. “Credo che gli Stati Uniti siano pronti ad assistere in ogni modo”, ha annunciato il vicepresidente Usa, Mike Pence, citato dalla stampa americana.
Ma mentre la Casa Bianca chiede risposte e offre il proprio aiuto per risolvere il caso, il Washington Post, quotidiano con il quale collaborava il giornalista, scrive, citando una fonte anonima, che “prima della scomparsa di Jamal Khashoggi, avvenuta la scorsa settimana a Istanbul, l’intelligence statunitense aveva intercettato delle comunicazioni tra funzionari sauditi che discutevano di un piano per catturare” il giornalista saudita. Secondo la fonte, i sauditi volevano indurre Khashoggi a tornare in Arabia Saudita per poi “mettere le mani su di lui” una volta tornato in patria. Non è chiaro, aggiunge la fonte, se i sauditi intendessero “arrestare o interrogare Khashoggi oppure ucciderlo” e neanche se gli Stati Uniti avessero avvisato Khashoggi che fosse un bersaglio.
Numerosi gli appelli internazionali: “Indagini siano trasparenti”
Intanto, sono numerosi gli appelli internazionali al governo saudita perché venga avviata un’indagine trasparente su ciò che è accaduto al giornalista critico verso la monarchia del Golfo. A manifestare “seria preoccupazione” per la scomparsa del reporter è stato l’ufficio del Commissario dell’Onu per i diritti umani che ha invitato Turchia e Arabia Saudita a cooperare in “un’indagine imparziale e indipendente” e “renderne pubblici i risultati”, come ha spiegato la portavoce Ravina Shamdasani. “Se saranno confermate le notizie e le circostanze della morte è veramente scioccante”, ha poi concluso.
Anche gli Stati Uniti, grandi alleati dei sauditi, si sono detti “preoccupati” per ciò che è accaduto e hanno chiesto al governo del Golfo di “sostenere un’indagine accurata” sulla vicenda e di “essere trasparenti sui risultati dell’investigazione”, come dichiarato dal Segretario di stato americano, Mike Pompeo. Lo stesso Donald Trump ha annunciato di voler parlare direttamente con Riyad per ottenere maggiori chiarimenti.
A seguito degli appelli di Onu e Usa, anche Unione europea e Gran Bretagna, altro grande alleato degli al-Saud, hanno iniziato a fare pressione sull’Arabia Saudita. “Sottoscriviamo al 100% la posizione americana. Ci aspettiamo un’indagine approfondita e una trasparenza totale da parte delle autorità saudite su quello che è successo”, ha dichiarato l’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Federica Mogherini, parlando da Lisbona.
Il ministro degli Esteri britannico, Jeremy Hunt, ha parlato oggi con l’ambasciatore saudita a Londra e ha sollecitato il Paese del Golfo a “collaborare” con le indagini avviate dalla Turchia. “L’amicizia dipende dai valori condivisi”, ha avvertito Hunt.