L’aborto è tornato con forza sulla scena pubblica in questi giorni. Prima, con la decisione del capogruppo Pd a Verona Carla Padovani di votare la mozione per dichiarare Verona “città a favore della vita” e dare fondi ad associazione antiabortiste. Poi, con la dichiarazione quasi scioccante di Papa Francesco, secondo cui l’aborto è letteralmente fare fuori qualcuno, attraverso l’uso di sicari, con probabile riferimento ai medici abortisti.
Ora, in un Paese come il nostro, caratterizzato da un deficit cronico di laicità – che, tocca purtroppo ribadirlo, non significa ateismo, ma un atteggiamento che ammette un pluralismo di valori e difende la libertà di scelta dei soggetti – le due notizie si sono sovrapposte in maniera malsana. Generando nei leghisti pro life la convinzione che il papa fosse dalla loro parte e creando nei laici una reazione fortemente negativa sia verso la scelta di Verona che quella del papa.
Peccato che si tratti di due fronti completamente opposti. Se è vero che da sempre esiste in Italia una forte ingerenza vaticana, non si può addossare a questo papa la colpa di parlare solo all’Italia – come in passato molti hanno fatto – e non al mondo, tanto è vero che all’udienza in cui ha pronunciato queste parole c’erano fedeli di tutto il globo. E il messaggio sull’aborto resta quello di un credo assoluto e dunque non modificabile e “antimondano”, che lo considera, appunto, alla stregua di una soppressione di vita.
È vero, in questi anni il papa ci ha spesso sorpreso per aver preso posizioni in qualche modo laiche su una serie di argomenti etici – ricordo quando in qualche modo “depenalizzò” il tradimento, persino quello femminile – ed è per questo che molti suo ammiratori non credenti forse sono rimasti delusi. Ma vita e morte sono temi che una prospettiva religiosa non può che considerare in maniera radicale, senza compromessi. È normale che sia così, parliamo del capo di una delle principali fedi del mondo. Fa il suo dovere, punto. Tutt’altra storia la vicenda di un’esponente Pd che vota con la Lega, a favore, appunto, di una mozione che parla di “milioni di bambini uccisi dalla 194” e dell’assegnazione di fondi ad associazioni “pro vita“, appellandosi alla presunta libertà di coscienza lasciata dal Pd.
Qui la confusione è assoluta: anzitutto quella della Lega, che ormai sempre più spesso tenta di reinserire l’assoluto – o meglio una visione religiosa e totalmente ideologica – all’interno della sfera pubblica e politica. Sfera che che per sua natura non dovrebbe avere a che fare con gli assoluti, ma invece garantire e sostenere la diversità di punti di vista: sia di chi non se la sente di portare avanti una gravidanza, che andrebbe aiutata e supportata in un momento delicato e quasi sempre doloroso, sia di chi un figlio lo vuole tenere, con tutti i sussidi e il welfare che serve. Ma questa distinzione certi leghisti non la capiscono. Troppo rozzi culturalmente, troppo ideologizzati, troppo convinti che essere eletti significhi imporre la propria visione del mondo a tutti e non, invece, rappresentare tutti quanti, indipendentemente dal loro credo e dal loro modo di concepire il mondo.
Ma se la confusione è grave per la Lega diventa gravissima per un’esponente Pd. La storia va avanti da quando c’era la Margherita e i famosi “cattolici in politica” che rivendicavano la possibilità di votare secondo loro coscienza. Il fatto è, non mi stancherò mai di dirlo, che questa giustificazione non regge perché la tua libertà di coscienza impedisce la mia libertà di coscienza e questo vuol dire che c’è un problema democratico enorme. Se poi un partito si presenta come portatore di un’ideologica laica – non atea, laica – nessuno dei suoi eletti può permettersi di votare mozioni ideologiche o che assegnano fondi non ad associazioni che sostengono le donne, come mi è stato obiettato da qualcuno, ma da associazioni che subordinano quel sostegno a quella che considerano l’unica scelta giusta e possibile. Qualcosa, onestamente, di aberrante.
La cosa più triste, però, di un partito che ormai non ha più alcuna idea di come riconquistare le persone e che forse proprio sui temi etici potrebbe tentare di ricompattarsi, è che dopo la scelta della Padovani ci sono stati solo stanchi comunicati che dicevano “Mossa sbagliata”, oppure “La 194 non si tocca” (Zingaretti). Il problema è che dichiarazioni di questo tipo non servono a nulla. Padovani doveva essere espulsa e non in nome di un sadico giacobinismo etico, ma in nome proprio della difesa della libertà soggettiva e della libertà di coscienza. Però non quella dei parlamentari o consiglieri, no, ma quella dei cittadini. Invece la consigliera è ancora lì. E il Pd si conferma di nuovo come un partito privo di un’identità non solo sui temi fondamentali del lavoro e del welfare, ma anche su quelli altrettanto cruciali dell’etica e della bioetica. Se intende combattere i “sovranisti” e la barbarie che avanza, come spesso viene ripetuto, dovrebbe quanto meno partire da qui.
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