“Paolo mesto” anche da santo. Non sono pochi, infatti, coloro che hanno criticato la scelta di canonizzare Giovanni Battista Montini insieme ad altri sei santi tra cui Oscar Arnulfo Romero. Paolo VI, che è stato il pontefice più contestato del Novecento soprattutto dalle gerarchie cattoliche, avrebbe sicuramente meritato una celebrazione tutta per lui. A fare luce sulla scelta di Bergoglio è stato monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della casa pontificia, nel volume Paolo VI e mons. Romero (Edizioni Viverein).

Per il prelato “la proclamazione della loro santità, voluta da Papa Francesco durante il Sinodo dei vescovi sulla fede e la vocazione dei giovani, assume una risonanza carica di significato e di chiare prospettive. Paolo VI e Romero hanno ricordato ai giovani che non basta esistere, bisogna impiegare l’esistenza per raggiungere qualche cosa di nuovo, di più, di perfetto, di buono, di felice. Hanno stimolato i giovani a credere che l’esistenza deve essere consacrata a qualcosa di grande. Con i loro discorsi incisivi hanno invitato a riflettere che la vita è bella se è nuova, e nuova se è buona, se è saggia, se è forte, in una parola: se è cristiana!”.

Nelle pagine di questo prezioso volume, Sapienza mette bene in evidenza il grande rapporto di stima tra i due nuovi santi e il sostegno concreto che Montini diede all’arcivescovo di San Salvador, ucciso, il 24 marzo 1980, dagli squadroni della morte del regime di estrema destra di cui denunciava i soprusi. “Paolo VI e Romero si sono incontrati varie volte. I loro rapporti non avevano nulla di formale. Romero si affidava a Paolo VI, e il Papa lo proteggeva. Nelle omelie di Romero i riferimenti a Paolo VI erano molto presenti. Con una identificazione profonda”.

Ma c’è qualcosa di più che unisce i due nuovi santi. “Il cardinale Martini – ricorda Sapienza – ha scritto che, pur essendo dell’avviso che non bisogna moltiplicare troppo i santi canonizzati, Romero è stato ‘un martire della giustizia, della verità e della carità’. Papa Francesco in diverse occasioni ha detto che per lui Paolo VI è un ‘martire’ per tutto quello che ha dovuto soffrire per la Chiesa. E quanto, anche Romero ha dovuto soffrire per la Chiesa, da parte dei suoi confratelli vescovi del Salvador, e per le incomprensioni nella Curia romana. Ora Papa Francesco unisce nella stessa canonizzazione Montini, il Papa del Concilio, e Romero, ‘il primo martire del Concilio’”.

Non a caso Bergoglio ha sottolineato che “il martirio di monsignor Romero è continuato anche dopo essere stato assassinato, perché fu diffamato e calunniato, anche da suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato”. La stessa cosa si può affermare per Paolo VI che fu oggetto di attacchi feroci da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Basta citare solo due suoi documenti che furono molto contestati: l’enciclica Humanae vitae, del 1968, con la quale chiuse definitivamente le porte ai metodi contraccettivi; e il motu proprio Ingravescentem aetatem, del 1970, con il quale stabilì la pensione per i cardinali capi dicastero della Curia romana a 75 anni e la perdita del voto in conclave al compimento degli 80 anni.

Paolo VI fu anche il primo Papa a prendere l’aereo. Lo ricorda bene Massimo Milone, direttore di Rai Vaticano, nel suo volume Quel giorno a Gerusalemme (Paoline) ripercorrendo il primo viaggio all’estero di Montini, nel 1964, in Terra Santa. Un pellegrinaggio con il Concilio ecumenico vaticano II in corso che il giornalista rilegge alla luce di quello compiuto in quelli stessi luoghi da Bergoglio nel 2014.

“Quel viaggio in Terra Santa – scrive Milone – rivoluzionerà la comunicazione dei Papi. Cinquant’anni fa c’erano le macchine da scrivere, c’era il telex e la pellicola cinematografica. Nulla da allora sarà come prima. Irromperà la tv, i viaggi apostolici saranno raccontati momento per momento. Per Giovanni Paolo II saranno parte integrante del magistero. E così, seppure con minore intensità, per Benedetto XVI”.

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