Maurizio Belpietro ha offeso la religione islamica, ma non i suoi fedeli. Questa la motivazione depositata al Tribunale di Milano per l’assoluzione, nel luglio scorso, dell’ex direttore di Libero, accusato di vilipendio verso coloro che professano la religione islamica per il titolo “Questo è l’Islam“, pubblicato dopo la strage di Charlie Hebdo sul quotidiano.

Il giornalista, ora direttore de La Verità, era stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Il vilipendio alla sola religione, infatti, spiega la motivazione, non è più reato perché la norma che lo prevedeva è stata abolita. “L’offesa – scrive il giudice monocratico Ombretta Malatesta – era rivolta alla religione come tale e, solo mediatamente e indirettamente, ai suoi proseliti”.

Il giudice spiega inoltre che la Corte costituzionale ha giudicato legittima la norma che “protegge il sentimento religioso di per sé, sanzionando le pubbliche offese verso lo stesso attuate mediante il vilipendio dei fedeli di una confessione religiosa”, ma incostituzionale l’articolo (il 402 del codice penale) che, come nel caso in questione, sanziona l’offesa rivolta a una religione come fenomeno religioso in sé e “nei suoi contenuti teoretico-dogmatici”. Il giornalista era stato già assolto anche nel dicembre 2017, sempre a Milano, per un altro titolo, “Bastardi islamici”, apparso sulla prima pagina di Libero dopo la strage di Parigi, a novembre 2015.

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