Bomba su un comizio elettorale e 12 morti, più decine di feriti, a una settimana dalle elezioni parlamentari del 20 ottobre in Afghanistan. Il raduno elettorale di Nazifa Yousofi Bek, una delle 393 donne candidate, a Rustaq, distretto della provincia di Takhar, nel nord del Paese, si è trasformato in una strage e aggrava lo stato di sicurezza di una Nazione già in ginocchio, con gli eserciti stranieri, compreso quello italiano, che nel frattempo pensano al ritiro delle truppe.

“Io sto bene, ma sfortunatamente un gruppo di concittadini sono stati martirizzati e altri feriti nell’esplosione”, ha poi commentato la candidata rimasta illesa nell’attacco, sottolineando che i “nemici del Paese” hanno voluto colpire la sua campagna. L’ordigno, ha poi spiegato il portavoce della polizia di Takhar, Khalil Asir, è stato nascosto dentro a una moto introdotta nel luogo del comizio con l’obiettivo di colpire Nazifa Yousofi Bek che, però, non era presente al momento dell’esplosione.

Pericolo attentati elevato, ma la coalizione pensa al ritiro
Quello del 13 ottobre è già il terzo attentato dall’inizio della campagna elettorale, due settimane fa. Non ci sono ancora rivendicazioni: i Taliban hanno più volte dichiarato che vogliono boicottare in tutti i modi il voto, anche se non è da escludere un coinvolgimento dello Stato Islamico, sempre attivo nel Paese e più propenso a sferrare attacchi che coinvolgano anche dei civili. Gli uomini fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi hanno sferrato numerosi attacchi nell’ultimo anno, soprattutto nella capitale Kabul.

Nonostante il numero delle vittime civili sia sempre più alto e i Taliban, il principale oppositore del governo di Ashraf Ghani, controllino o abbiano influenza sulla più ampia fetta di territorio dall’inizio del conflitto, il principale obiettivo dei Paesi ancora impegnati in Afghanistan è quello di arrivare il prima possibile al ritiro delle truppe. Ci stanno provando gli Stati Uniti, frenati dal timore che la Russia di Vladimir Putin possa di nuovo, a quasi 30 anni dalla sconfitta sovietica, allungare le mani sul Paese per evitare sconfinamenti di gruppi terroristici attraverso le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. E ci prova anche l’Italia: a inizio ottobre, il ministero della Difesa ha fatto sapere che cento uomini torneranno a casa dall’Afghanistan al completamento del processo elettorale, quindi “entro il 31 ottobre”, con la exit strategy che continuerà anche nel 2019: “La riduzione di cento uomini in Afghanistan rientra nel graduale disimpegno voluto dal ministro – hanno dichiarato fonti della Difesa all’agenzia Ansa – Considerato l’imminente processo elettorale, abbiamo tuttavia agito con responsabilità anche verso gli alleati. Nel 2019 si procederà a ulteriori riduzioni, mantenendo sempre la capacità operativa della missione”.

Colloqui in Qatar tra Usa e Taliban
Se dal punto di vista militare le forze della coalizione occidentale pensano a un graduale ritiro dopo 17 anni di conflitto, non si fermano i tentativi di convincere la frangia più dialogante dei Taliban a sedersi a un tavolo negoziale. In questo contesto si inserisce l’incontro del 12 ottobre tra l’inviato Usa per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, e una delegazione di tre emissari Taliban in Qatar, dove l’organizzazione terroristica ha un suo ufficio di rappresentanza. Ad annunciarlo è stato il portavoce della principale fazione del gruppo, Zabihullah Mujahid, in un comunicato diffuso il 13 ottobre in cui si legge che la delegazione ha evidenziato la necessità di una “soluzione reale e inclusiva” al conflitto che si trascina dal 2001 in Afghanistan e che le parti hanno concordato di continuare i contatti dopo questo primo meeting.

L’incontro è avvenuto a meno di una settimana da quello di Khalilzad con il governo afghano, a Kabul, alla presenza del Presidente Ghani  e del “Capo dell’esecutivo”, Abdullah Abdullah, insieme a delle delegazioni di gruppi politici e di organizzazioni della società civile. L’obiettivo dell’inviato americano, prima di ripartire per un tour diplomatico che lo ha portato in Pakistan, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Arabia Saudita, è quello di fare da mediatore tra l’esecutivo e le fazioni ribelli, al fine di convincere i Taliban a negoziare. Domani, Khalilzad  sarà di nuovo a Kabul a riferire gli esiti del primo incontro al governo afghano. La presidenza non ha però fatto trapelare alcuna indicazione sui contenuti del colloquio, limitandosi a dare il benvenuto “a tutti gli sforzi per una pace duratura in Afghanistan”. Uno sforzo che dovrà essere intenso e costante nel tempo, visto che, nonostante i primi avvicinamenti, gli attacchi continuano, le minacce di nuove carneficine non si fermano e i Taliban sono tornati a chiedere il ritiro delle forze straniere dall’Afghanistan.

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