È un “errore logico” pensare che con un deficit italiano ridotto all’1,6% si possa abbassare il debito pubblico. A sostegno delle scelte governative è arrivato niente meno che, Antonio Fazio, il discusso ex governatore della Banca d’Italia della stessa generazione del ministro Paolo Savona. Per Fazio, intervenuto sul quotidiano della Cei, Avvenire, il problema non è tanto il 2,4%, quanto che nella Ue “non c’è una vera politica economica“. Quel che necessita, invece, è “una forte iniziativa pubblica” per gli investimenti e, al riguardo, l’ex numero uno di Via Nazionale travolto dalla calda estate delle scalate bancarie 2005, afferma che “la strategia vincente deve essere quella delineata dal professor Savona”, il ministro degli Affari europei, appunto.

“È bene ricordare che negli ultimi 10-15 anni – è l’analisi di Fazio che riprende un’intervista concessa alla rivista delle banche popolari. – i governi italiani hanno sempre osservato le indicazioni della Commissione. Malgrado questo, il rapporto debito pubblico/Pil è salito notevolmente. Se il disavanzo si riduce dal 2,4 all’1,6%, il debito cala solo di uno 0,6% (meno 0,8 diviso 1,3 che è il rapporto tra debito e Pil). Nel contempo, però, il reddito nazionale cresce di meno, ricevendo un impatto negativo dello 0,8% dalla riduzione del disavanzo. In definitiva, quando il rapporto debito/Pil è elevato, il tentativo di ridurre tale rapporto attraverso la riduzione del disavanzo non solo non è efficace, ma addirittura controproducente”.

Per Fazio, inoltre, il livello del debito italiano è “sostenibile”, visto “l’indebitamento relativamente basso delle famiglie italiane”. Quanto all’euro, “non va messo in discussione, “ma è, e resta, un obiettivo intermedio la cui stabilità deve servire a garantire, strumentalmente, gli altri obiettivi, a partire dalla ricerca della piena occupazione che si scontra invece con l’attuale stato pietoso dell’occupazione giovanile in Italia”. Per combattere il quale serve un intervento sul costo del lavoro dato che, con l’avvento dell’euro, “si è perso lo strumento del cambio e si è legati sul bilancio pubblico: se non si agisce sul costo del lavoro, resta ben poco da fare”.

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