Lo scorso gennaio a Milano aveva aperto i battenti un nuovo ristorante, il Black Future Social Club. Si trattava di un locale esclusivo (da intendersi letteralmente al modo degli antichi latini: ex-claudĕre, chiudere fuori) in cui la scelta delle portate e il periodo di permanenza dei commensali erano determinati dal loro engagement sui social. Potevano entrare solo persone con almeno mille follower su Instagram, mentre la possibilità di rimanere seduti e di fare una seconda ordinazione dipendeva dal numero like raggiunti dalla foto postate.
Il Black Future Social Club era una provocazione. Un’operazione di marketing pensata per promuovere la quarta stagione di Black Mirror, l’inquietante serie Netflix che ha tra i pregi principali quello di farci pregustare già oggi come saranno le nostre vite tra pochi lustri, quando le interazioni sociali saranno interamente condizionate dalla tecnologia. Si tratta di un processo distruttivo già ampiamente avviato – di cui i millennials e gli iGens sono diventati ambasciatori inconsapevoli – che sta trasformando, giorno dopo giorno, le nostre fantasie (paure) sul futuro in realtà.
Così, non stupisce che l’altro ieri a Milano sia nato qualcosa di simile al Black Future Social Club, ma con un nome un po’ più ruffiano: “This is not a sushi bar”, ovvero il primo ristorante italiano dove si paga in base ai follower (un’autentica genialata del marketing, a cui fa da ausilio un’altra idea originalissima di magrittiana genesi, quella della negazione “rafforzante”. Avanguardia pura, direbbe la Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada). Funziona così: tu arrivi, ordini un piatto, lo fotografi, oppure fotografi te e/o i tuoi amici, e lo schiaffi su Instagram, corredando la foto con hashtag #thisisnotasushibar (io ci aggiungerei anche, a proposito di rafforzativi, #avanguardiapura). Poi vai dallo “store manager” (sarà il cassiere?) e gli comunichi che hai pubblicato la foto sui tuoi social channels. Nel frattempo il sushi aspetta, meno male che non si fredda. Finalmente mangi, chiacchieri un po’, forse, con i tuoi amici e al momento di pagare il conto tiri fuori i tuoi follower nella manica. Più sono, meno spendi. In particolare:
– Se hai da 1000 ai 5mila follower un piatto per te è gratis;
– Da 5001 a 10mila follower hai 2 piatti gratis;
– Da 10001 a 50mila follower hai 4 piatti gratis;
– Da 50001 a 100mila follower hai 8 piatti gratis;
– Se hai oltre 100mila follower, la cena è offerta dal ristorante.
Ma che succede se non sei un influencer? Tranquillo, non sentirti uno sfigato. Se hai meno di 1000 follower, ti iscrivi alla newsletter e forse un Uramaki lo regalano anche a te.
Alla domanda se il sushi non sushi bar corra il rischio di diventare un ristorante ex-clusivo per influencer, il gestore risponde gaudioso: “Di fatto siamo tutti un po’ degli influencer”. Amen. E poi chiosa: “Rendiamo spendibile quello che già esiste, la nostra rete di contatti e di amicizie”. Eccola lì, la distopia in salsa di soia. I nostri amici, il nostro “giro di conoscenze” sono mercificati e monetizzati per ottenere in cambio degli omaggi. Nessun pericolo di fallimento comunque perché, conclude il gestore, “l’80% del nostro business è basato sul delivery”. Probabilmente sottovaluta gli Instagram addicted, noti per essere una manica di “founder” e “artisti” che passano le proprie giornate a commentarsi le foto a vicenda per accrescere la propria influenza e scroccare qualche partnership. C’è da giurare che molti di costoro si fionderanno ben presto nel sushi non sushi di Porta Romana, trasformandolo in uno studio fotografico.
Ma non è tutto. È prevedibile che arriveranno anche finti influencer (nel senso: più finti di quelli “veri”, finti a loro volta), che dopo aver acquistato qualche migliaio, o qualche centinaio di migliaio di follower finti, pretenderanno anch’essi una porzione gratis. Non perché non abbiano i soldi per pagarla. Ma per il gusto di guardarsi soddisfatti nello specchio prima di andare a letto, ripensando al fatto che la propria notorietà è stata riconosciuta e apprezzata tanto da essere premiata con un piattino di riso.