È stato respinto dalla Cassazione il ricorso della Lega che chiedeva di essere ammessa, in qualità di “parte destinataria di provvedimento di sequestro” – figura non riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico -, al processo d’appello in corso a Genova nei confronti di Bossi e altri quattro imputati per la maxitruffa sui rimborsi elettorali che ha comportato la decisione dei giudici di confiscare 49 milioni di euro. Secondo i legali del Carroccio, ai danni del partito sarebbe stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in base a una sentenza di Strasburgo sull’ecomostro di Punta Perotti.
Con questa verdetto, per la difesa della Lega, è stato “enunciato il principio che un provvedimento di confisca applicato a chi non è stato parte nel procedimento penale in cui è disposta la misura è da ritenersi emesso in violazione dell’articolo 7 della Cedu”, che tutela da confische chi è senza condanne. Ma la Suprema Corte, venerdì, ha convalidato l’ordinanza della Corte genovese che il 15 giugno aveva detto no alla partecipazione della Lega nel processo a Bossi.
I legali del Carroccio avevano già tentato la carta di Strasburgo anche durante l’udienza del Riesame che poi, recependo il verdetto della Cassazione, aveva confermato il sequestro. La difesa, in quell’udienza, aveva depositato proprio la sentenza della Cedu sull’ecomostro di Punta Perotti che condannò l’Italia per aver proceduto alla confisca dei terreni dove venne edificato il complesso senza una precedente condanna dei responsabili. In quell’udienza gli avvocati avevano anche sollevato anche una questione di illegittimità costituzionale sulla normativa in materia di confisca, ma i giudici ricordavano ancora che “la confisca obbligatoria è finalizzatata al fine certamente legittimo e conforme ai proincipi dell’ordinamento giuridico interno e sovranazionale di assicurare allo Stato il profitto del reto ricercandolo ‘ovunque e presso chiunque’ sia confluito, rammentandosi sul punto che le parti civili del presente procedimento sono gli stessi organi costituzionali dello Stato (Camera e Senato), con conseguente esclusione di ogni possibile travalicamento del provvedimento ablatorio dai fini istituzionali di recupero a giustizia delle somme illegittimamente percepite dai dirigenti pro tempore del partito politico e come tali giudicate con sentenza di condanna all’esito di un regolare giudizio di merito”.
Riguardo al ricorso respinto gli ermellini della II sezione penale oltre a respingere il reclamo hanno condannato il partito a pagare le spese processuali. L’udienza si è svolta il 12 ottobre a porte chiuse, senza partecipazione diretta né dei legali né del Pg, mentre l’attenzione dei media era focalizzata sul processo a Massimo Bossetti – per l’omicidio di Yara Gambirasio – che si stava celebrando nell’aula accanto.
“L’unico modo che ha la Lega di liberarsi definitivamente dal capestro dei sequestri è legato all’eventuale assoluzione di Bossi”, ha spiegato l’avvocato Stefano Goldstein che difende Stefano Aldovisi, uno degli ex revisori contabili della Lega imputato nel processo sulla maxitruffa e con la posizione più leggera. “Per questa ragione – ha aggiunto il legale – il Carroccip ha chiesto di essere parte del processo nel tentativo di concorrere al proscioglimento di Bossi, tentativo fatto pro domo sua, e non nell’interesse dell’ex segretario”. A Genova, il sostituto procuratore generale Enrico Zucca, a luglio, ha chiesto un anno e 10 mesi e una multa di mille euro per Bossi che in primo grado era stato condannato a 2 anni e sei mesi. Per l’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito, il Pg ha chiesto 4 anni e dieci mesi. Per i tre ex revisori, Diego Sanavio, Antonio Turci, ha chiesto due anni e 800 euro di multa (in primo grado 2 anni e otto mesi), e per Aldovisi ha chiesto un anno e tre mesi e 500 euro di multa (in primo grado un anno e nove mesi).