Ieri l’Europa ha avuto una scossa verde, o, per meglio dire, ne ha avute tre: in Baviera, in Belgio e in Lussemburgo si sono svolte elezioni chiave (rispettivamente, statali, amministrative e legislative) che hanno un minimo comune denominatore, ossia la chiara, incontestabile affermazione dei partiti Verdi come una forza politica vincente in tutta Europa, pochi mesi dopo le elezioni locali in Olanda che hanno portato, tra l’altro, a diventare sindaco di Amsterdam Femke Halsema, una donna ecologista del partito verde GroenLinks (lo stesso partito dell’europarlamentare Judith Sargentini, che poche settimane fa è riuscita a far approvare dal Parlamento europeo la sua relazione sulle violazioni dello stato di diritto in Ungheria).

In queste ore giornalisti e analisti si sperticano in spiegazioni su cosa stia succedendo, su come sia possibile che i Verdi siano diventati il secondo partito in Baviera, roccaforte dei cristiano-sociali del ministro degli Interni federale Horst Seehofer, del candidato alla Presidenza della Commissione europea Manfred Weber. Come sia possibile che Bruxelles, la capitale d’Europa, sia stata invasa da quella che qui già chiamano “la vague verte”, l’onda verde, e con essa tutto il Belgio. Come sia possibile che i Verdi lussemburghesi siano stato l’unico partito della coalizione di governo a guadagnare seggi, al punto tale da aver salvato da soli la tenuta stessa del governo.

I Verdi non sono alieni. Non sono piombati giù dal cielo all’improvviso. I loro successi sono frutto di un lavoro lungo e instancabile che ha messo al centro le preoccupazioni dei cittadini e li ha coinvolti, come prova la grande mobilitazione di giovani e attivisti in tutte le campagna elettorali.

Se hanno vinto non è perché sono anti-establishment o una “nuova forza”, come qualche vicepremier del nostro paese sta affermando in maniera risibile (oltre che completamente errata): i Verdi in Europa sono un partito consolidato storicamente e che governa un po’ ovunque in Europa, inclusi gli stessi Baviera, Belgio e Lussemburgo.

Che siano al governo o all’opposizione, i Verdi vincono perché le loro proposte sulla trasformazione del sistema economico e dell’urgenza ecologica sono le più valide, perché la loro leadership e rappresentanza è credibile e pluralistica, perché spingono sul protagonismo politico delle donne e su un europeismo intransigente ma riformista.

In Baviera, i Verdi sono diventati il partito principale di opposizione alla CSU, dilaniata da profondissime contraddizioni intestine su valori e diritti, soprattutto per quanto riguarda le politiche migratorie e d’asilo. Con uno storico 17,5% (+8,9% rispetto alle precedenti elezioni), i Verdi hanno spezzato la storica maggioranza assoluta del partito di governo CSU, che ha ottenuto il suo peggior risultato elettorale dal 1950. Ben 190.000 voti sono passati dalla CSU proprio ai Verdi, che ne hanno ricevuto 230.000 dai socialdemocratici della SPD, altri grandi sconfitti.

I Verdi hanno ottenuto risultati eccezionali alle elezioni amministrative in Belgio, unico partito che ha riunito i valloni e i fiamminghi. Ogni partito verde locale ha guadagnato elettori rispetto alle precedenti elezioni. I Verdi valloni (gli Ecolo), tra gli altri, sono diventati il partito di maggioranza a Ixelles, uno dei comuni più popolosi della regione bruxellese, con il loro 33,1% e ora possono negoziare per averne anche il sindaco (Christos Doulkeridis, di origini greche), così come si sono affermati con grandissimo successo in tutti i comuni della capitale belga. Ad Anversa, feudo storico degli indipendentisti fiamminghi, i Verdi Groen sono riusciti addirittura a raddoppiare il risultato, raggiungendo il 18,1%.

Infine, in Lussemburgo i Verdi sono cresciuti del 50% dopo 5 anni di governo, un enorme segnale di fiducia e soddisfazione sul loro operato. Non solo, sono stati gli unici della compagine governativa a crescere, guadagnando 3 nuovi seggi.

Questi risultati sono fondamentali anche per l’Italia: esiste uno spazio politico per i temi ecologisti, dalla lotta ai cambiamenti climatici al Green New Deal, da un’Europa forte, ma profondamente riformata nelle politiche e nel funzionamento, alla difesa intransigente dei valori di democrazia ed eguaglianza, alla partecipazione delle donne e al rifiuto di tutti i nazionalismi, a destra come a sinistra.

I Verdi in Europa vincono perché non sono ambigui sulle proprie posizioni: rispetto a partiti tradizionalmente progressisti che si sono gradualmente avvicinati o alle posizioni neoliberiste di centro-destra o a quelle antieuropee dell’estrema sinistra, si sono affermati come la sola vera alternativa che mette al centro i diritti sociali, civili e ambientali. Vincono perché riconoscono la grandissima forza politica delle donne e le mettono in prima linea: non a caso, le leader più in vista in due dei tre paesi sono proprio donne, Zakia Khattabi e Meyrem Almaci in Belgio (valloni e fiamminghi), Katharina Schulze in Baviera.

Ma l’Italia è tanto diversa? No, anzi. In Italia c’è fame di un movimento esplicitamente ecologista, femminista ed europeista, che si opponga in maniera radicale sia all’attuale governo giallonero, sia ai democratici di facciata, senza scordare i sovranisti di sinistra. E noi siamo convinti che il momento per questo partito sia giunto: lo spazio politico c’è e i Verdi italiani ed europei hanno intavolato un dialogo aperto con altri soggetti e personalità per i quali questi temi sono una priorità assoluta. Questo dialogo ha come obiettivo proprio l’organizzazione di una lista per le prossime elezioni europee, che saranno cruciali per il futuro dell’Unione.

Quest’onda verde è come il vento di De André: non lo si può fermare, gli si può solo far perdere tempo. E i Verdi il tempo non lo stanno perdendo.

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