La teste in aula: "Dopo la denuncia i Casamonica hanno chiesto dove abito. Sono stata l’unica ad oppormi a quanto accadeva in quel bar. Nessuno si è opposto e ha fatto nulla mentre mi aggredivano". Ieri il gup ha condannato tre imputati riconoscendo l'aggravante mafiosa
Dopo le condanne in abbreviato con cui il gup ha riconosciuto l’aggravante mafiosa per tre imputati oggi la disabile ferita durante il rain nel Roxy bar ha testimoniato nel processo con il rito ordinario ad Antonio Caamonica. “Ho paura di uscire, dopo la denuncia i Casamonica hanno chiesto dove abito – ha detto la donna ai giudici della VI sezione penale -. Sono stata l’unica ad oppormi a quanto accadeva in quel bar. Nessuno si è opposto e ha fatto nulla mentre mi aggredivano”. La teste parla in aula, a porte chiuse, e ricostruisce quei momenti di terrore. Porta ancora i segni di quell’aggressione a colpi di cinta, costatale 27 giorni di prognosi. Mentre testimonia l’imputato prova a parlarle sopra: “Dillo che ti ho difeso”, afferma, prima di essere zittito dal giudice.
I fatti risalgono alla domenica di Pasqua, quando la donna e il titolare del locale alla periferia sud est di Roma, furono aggrediti. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Antonio Casamonica e il cugino Alfredo Di Silvio sarebbero entrati nel locale con la pretesa di passare avanti ad altri clienti. Avevano insultato il titolare, urlandogli “rumeno di merda”. In fila con loro c’era la donna, picchiata per prima per aver risposto agli insulti dicendo loro che “se non apprezzavano il servizio potevano cambiare bar“. I due le avevano strappato e rotto gli occhiali, poi l’avevano spinta contro un muro e colpita con ferocia, armati di una cintura, mentre lei implorava pietà e gli altri presenti non reagivano, pietrificati dal terrore. Prima di lasciare il locale altre urla contro la vittima: “Se chiami la polizia ti ammazziamo”.
Dopo mezz’ora Alfredo Di Silvio era tornato in compagnia del fratello Vincenzo: i due avevano aggredito a colpi di bottiglia il barista ‘colpevole’ di non essersi occupato con solerzia di loro. Avevano devastato il bar, intimando al titolare di chiudere e gridando: “Qui comandiamo noi, fai quello che ti diciamo o ti ammazziamo!” Dopo la denuncia presentata dai titolari del bar a intervenire con minacce era stato il nonno dei due Di Silvio, Enrico. I quattro sono finiti a processo con accuse, a vario titolo, di lesioni, violenza privata, danneggiamento e minacce, il tutto aggravato dal metodo mafioso. Ieri le prime tre condanne, con rito abbreviato, per il raid: 4 anni e 10 mesi di carcere per Alfredo Di Silvio, 4 anni e 8 mesi per il fratello, Vincenzo, e 3 anni e due mesi per il nonno dei due, Enrico. Il giudice ha riconosciuto l’aggravante mafiosa.