Le confessioni del vicebrigadiere Francesco Tedesco non hanno solo infranto il muro di omertà dietro il quale si è tentato di nascondere le vessazioni inferte a Stefano Cucchi, ma hanno chiaramente indicato l’urgenza di rivedere e migliorare i criteri di reclutamento con i quali si accede alle forze dell’ordine.

Oggi esistono a tale scopo vari strumenti di valutazione finalizzati ad assodare l’idoneità psico fisica del candidati, affiancati a colloqui individuali. Tra questi troviamo il Minnesota multiphasic personalità inventory (Mmpi), un test atto a indagare le caratteristiche di personalità normali e patologiche, capace di quantificare depressione, paranoia, ansia. Il Big Five valuta, tra le altre cose, introversione ed estroversione del candidato. Il test 16 Pf 5 dice qualcosa sulle tendenze paranoiche e la presenza di stati ansiosi.

Chi si occupa di psicoanalisi sa che la standardizzazione alla quale sono soggetti questi test attitudinali, che pure hanno un indubbia base scientifica, riduce l’individuo a un elemento sì valutabile, ma non ne esaurisce completamente l’animo e la storia pregressa. Traumi, momenti critici, violenze o soprusi patiti, famiglie disequilibrate, sono sovente la base sulla quale si modellano strutture di personalità poco adatte a garantire un equilibrio in condizioni di forte stress.

Lo Stato non indaga l’animo di chi domanda di esserne il difensore, cercando di capire quali siano i motivi, attuali o antichi, che spingono un individuo a scegliere una divisa. In pratica lo Stato non assume la posizione dell’analista, chiedendo se fare il carabiniere o il poliziotto risponda a un desiderio primario di difesa della legge, di protezione del debole, di riscatto da soprusi subiti o osservati o sia, più prosaicamente e legittimamente, legato al bisogno di avere un lavoro che permetta di campare. E non è certo pensabile che ciò avvenga.

Tuttavia qualcosa va rivisto. Dopo la vicenda Cucchi, lo Stato ha più che mai il dovere di porre in essere strumenti utili a individuare e fare desistere chi sceglie di indossare una divisa per motivazioni che esondano dal desiderio di garantire la difesa dal crimine e dall’illegalità . Anche se supera brillantemente la batteria di test sopracitata, la quale non dice nulla di zone grigie intrise di sadismo o tendenze autoritarie che, come abbiamo modo di vedere, troppo spesso balzano agli onori delle cronache. Ne parlai proprio in un precedente post.

Dal G8 di Genova in poi questa urgenza si è mostrata in tutta la sua drammatica evidenza. Come ha stabilito la corte Europea, sadici torturatori vestiti con gli abiti dello Stato hanno abdicato alla loro funzione, esercitando violenze inaudite nei confronti di quei cittadini che avevano giurato di difendere. Uomini violenti si sono sentiti liberi di mostrare la loro peggior natura, esercitando liberamente un potere autoconferito di punire e far soffrire coloro i quali, a loro discrezione, costituivano un elemento insopportabile: i manifestanti con idee e orizzonti diversi dal loro.

Un uomo delle forze dell’ordine che picchia un detenuto o che viene ritenuto colpevole di stupro è il prodotto di una lente clinica non del tutto precisa, resa opaca dal tempo, incapace di riconoscere chi cerca in una divisa una modalità di espressione tollerata di proprie pulsioni violente. Riempire di botte un ragazzo, come accadde ad Aldrovandi, è il risultato di una mancata vigilanza su inclinazioni coercitive che non sono state riconosciute e indagate. Percuotere con violenza un uomo in stato di arresto, intimidirlo, soggiogarlo, sono la risposta drammatica a domande che non vennero fatte a tempo debito.

Quale è il suo rapporto con l’alterità? Con la diversità? Come si applica la legge nei confronti di chi delinque senza esprimere giudizi morali? Lei crede che la violenza contenga un fine rieducativo? Cosa pensa della donna? Queste sono le domande che nessun test pone. Se non ci vedi più, non puoi guidare. Se per te un uomo privato della libertà è un corpo sul quale infierire, non puoi indossare una divisa. E questo va, nei limiti del possibile, appurato prima che tu faccia il giuramento.

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