Il primo cittadino, autosospesosi dal M5s nel corso dell'indagine e scaricato da Di Maio, è accusato di falso ideologico, turbata libertà degli incanti, violazione del segreto d'ufficio e abuso d'ufficio. Chiesto il processo anche per altre 23 persone. Al centro dell'inchiesta della procura di Termini Imerese ci sono l'affidamento di un palazzetto dello sport e la rivelazione di un'indagine a carico del cognato
Falso ideologico, turbata libertà degli incanti, violazione del segreto d’ufficio e abuso d’ufficio. Per queste accuse la procura di Termini Imerese ha chiesto il processo del sindaco di Bagheria Patrizio Cinque, autosospeso dal M5s dopo la notifica dell’obbligo di firma disposto dal giudice per le indagini preliminari nel corso dell’inchiesta e ‘scomunicato’ da Luigi Di Maio. Davanti al gup, il pubblico ministero ha chiesto il processo anche per altre 23 persone, mentre è stata stralciata e rinviata a novembre la posizione di Salvatore Asaro, che ha scelto il rito abbreviato. L’inchiesta riguarda anche alcuni imprenditori, funzionari comunali, l’ex assessore ai Lavori pubblici, un vigile urbano e l’ex commissario della Città metropolitana.
Tra le contestazioni fatte dagli inquirenti a Cinque c’è l’avere fatto pressioni sull’ex commissario della Città metropolitana, Manlio Munafò, anche lui indagato, perché il palazzetto sportivo di Bagheria fosse affidato in partnership al Comune e all’associazione Nuova Aquila Palermo. Il sindaco ha sempre negato qualunque intenzione di gestire la struttura con l’associazione privata, sostenendo di aver chiesto negli anni l’affidamento del palazzetto ai comuni con Bagheria capofila e non ai privati. Tanto da aver presentato la busta per la manifestazione di interesse fuori termine.
Il sindaco è imputato anche per violazione di segreto d’ufficio nella vicenda relativa alla casa abusiva del cognato poiché avrebbe rivelato al familiare l’esistenza di un procedimento a suo carico. “Sono stato io a spingere mio cognato ad autodenunciarsi per l’immobile abusivo – ha spiegato – Quindi quando ho saputo che l’autodenuncia, poi rivelatasi falsa, era stata presentata, gliene ho parlato, certo che avesse seguito il mio consiglio. Non potevo immaginare che la firma sotto l’esposto non fosse sua”. Nel’inchiesta è finita una intercettazione in cui il primo cittadino contestava la decisione di multare con 20mila euro gli abusivi, come prevedeva l’emendamento della sua collega del Movimento Cinque Stelle. A suo carico, inoltre, l’accusa ipotizza anche irregolarità nella gestione della raccolta dei rifiuti.