È stata ridotta in appello la pena per Giuseppe Pellicanò, il pubblicitario accusato di strage e devastazione per aver causato l’esplosione del suo appartamento in un palazzo di via Brioschi, a Milano, nel giugno 2016. La Corte d’Assise d’appello di Milano lo ha condannato a 30 anni di carcere, ritoccando l’ergastolo inflitto in primo grado.
Nell’esplosione morirono la sua ex compagna Micaela Masella e una coppia di giovani vicini di casa marchigiani, Chiara Magnamassa e Riccardo Maglianesi, e rimasero ferite gravemente le sue due bimbe. “Noi siamo già stati condannati all’ergastolo da Pellicanò, all’ergastolo del dolore. Il dolore è stato l’unico protagonista di questa giornata. A noi la sentenza di oggi non cambia nulla. La giustizia ha fatto il suo corso”, ha commentato la mamma di Maglianesi.
Il sostituto procuratore generale Daniela Meliota aveva chiesto la conferma dell’ergastolo. “Il suo stato era quello di chi ha ucciso per rabbia, rancore, gelosia e per essere stato offeso nel suo orgoglio maschile“, aveva detto nel corso della requisitoria. Pellicanò, prima che il pg chiedesse per lui di nuovo il carcere a vita ritenendo non avesse alcuna “sindrome depressiva” e che non fosse nemmeno semi-infermo, ha preso la parola per leggere una lettera ai familiari delle vittime, pure loro in aula, per dire, questo il senso, che per lui la vera ‘pena’ è essere lì a guardare in faccia la realtà e tutti coloro a cui ha fatto del male. Il suo difensore Alessandra Silvestri aveva ribadito invece di dichiarare l’infermità mentale del suo assistito e la concessione delle attenuanti generiche con la speranza che in futuro l’uomo possa riallacciare i rapporti con le figlie.
Come la procura generale pure i legali dei parenti delle vittime hanno chiesto ai giudici di confermare la sentenza del giugno dell’anno scorso, sostenendo, al contrario della consulenza tecnica di parte, che la personalità del pubblicitario milanese “narcisistica ed ossessiva”, la sua “rabbia” e il non essere riuscito ad accettare “la fine del rapporto con la compagna” e il “fallimento” di quello con le figlie “non escludano la sua capacità di intendere e volere“.
“Non ha sopportato le sue frustrazioni e ha messo in atto una logica – ha sottolineato Antonella Calcaterra, l’avvocato delle bimbe ora seguite dai nonni materni e dalla zia – del ‘o con me o tutti morti'” e quindi “non si è suicidato ma ha fatto una strage”. “Queste bambine – ha aggiunto – non hanno più un ricordo, nemmeno una foto della mamma su cui piangere”. I legali di parte civile hanno anche evidenziato come Pellicanò, in alcune intercettazioni che risalgono al suo ricovero in ospedale dopo la strage, diceva a un’amica che “la sua depressione era minima e che non voleva suicidarsi”.