Gli attori di Hollywood stanno facendo digitalizzare la propria immagine, per creare un avatar che possa prolungare la carriera oltre la morte e annullare l’invecchiamento – almeno sullo schermo. La tecnologia è quella vista, per esempio, nei recenti film di Star Wars, dove compaiono Peter Cushing e Carrie Fisher com’erano alla fine degli anni ’70. O Samuel Jackson, che comparirà come un giovanissimo Nick Fury in Captain Marvel, in uscita l’anno prossimo. Da un utilizzo puntuale, per un singolo film, la digitalizzazione si sta facendo sistema e servizio.
Secondo l’esperto di effetti visivi Beau Janzen, questa tecnologia a lungo termine renderà del tutto normale scritturare attori deceduti. “Qualunque cosa si possa usare per rendere il film migliore, la storia migliore, sarà usata”, ha commentato. Rincara la dose Ben Morris, supervisore degli effetti speciali per Gli Ultimi Jedi, che spiega come “facciamo sempre le scansioni digitali degli attori principali dei film. Non sappiamo se ci potranno servire in futuro”.
Accade quanto si vedeva nel film The Congress, che nel 2013 raccontava appunto di attori che erano virtualmente obbligati a creare una versione digitale di sé stessi. Chissà che gli autori, all’epoca, non fossero già al corrente dei progetti di Digital Domain, società specializzata in CGI (Computer Generated Imagery, comunemente detta computer grafica) che offre proprio questo servizio.
Un attore o un’attrice può rivolgersi a loro e, per una cifra che può arrivare al milione di dollari, accumulare scansioni di sé stesso da riutilizzare in futuro. Disney lo ha fatto con Adam Driver, rendendo così immortale l’immagine del giovane Kylo Ren; potremmo vederlo recitare anche tra mille anni. E se non ci pensa il produttore, l’attore o l’attrice possono chiedere la digitalizzazione di propria iniziativa, nella speranza che la propria immagine possa continuare a lavorare e produrre denaro senza fastidiosi limiti di tempo imposti dalla biologia. Poter firmare contratti in eterno sarebbe un modo mai visto prima di assicurare una rendita ai propri eredi.
L’operazione richiede un paio di giorni, durante i quali decine di videocamere esaminano le caratteristiche dell’artista, con diversi abiti e in svariati contesti di illuminazione. La quantità di dati generati varia da 5 a 10 terabyte circa – starebbero su qualche hard disk di quelli che si possono comprare ovunque (ma si suppone che siano conservati con maggiore cura).
I dati poi permetteranno di usare l’avatar digitale in scene di ogni tipo: basterà mettere un altro attore, uno qualsiasi, di fronte alle cineprese. Poi, in fase di post produzione, il suo volto e il suo corpo saranno sostituiti con quelli della star digitale – è così che l’attrice Ingvild Deila è diventata la giovane principessa Leia in Rogue One.
Ma perché fare scansioni di due giorni con macchinari complessi, cambiando abiti e condizioni di illuminazione? L’obiettivo è ottenere la massima naturalità dell’attore virtuale, andando a compensare un aspetto che oggi lascia un po’ a desiderare. In Rogue One per esempio i personaggi digitali sembrano più che altro manichini molto sofisticati, senza riuscire a risultare convincenti come persone in carne ed ossa. Si trovano nella cosiddetta Uncanny Valley, la “zona perturbante” in cui un robot è abbastanza simile a un umano ma non del tutto, e genera una sensazione di disagio in chi lo guarda.
Il problema è dovuto a due ragioni: la prima è che la tecnologia non è ancora abbastanza matura, e la seconda, più importante, che i personaggi digitali sono stati ricreati a partire da vecchi filmati e fotografie. La scansione della persona quando è ancora giovane, come fa Digital Domain, rappresenta un approccio nuovo, che con ogni probabilità porterà a risultati nettamente migliori rispetto a ciò che abbiamo visto fino a oggi – insieme naturalmente a soluzioni tecnologiche sempre più potenti e sofisticate.
Digital Domain tra l’altro ha già dato prova di sé con il tour virtuale del rapper 2Pac, deceduto nel 1996 ma ancora presente ai concerti come ologramma. Un trattamento che di recente ha visto protagonista anche la londinese Amy Winehouse.
Per il momento i costi fanno di questa tecnologia uno strumento riservato ai grandi studios di Hollywood, ai singoli artisti in cerca di vita eterna e ai milionari eccentrici. Non è da escludere tuttavia che nel prossimo futuro sistemi simili diventino accessibili a tutti. Dai capi d’azienda agli insegnanti, dai politici alle star di YouTube: una tecnologia che permetta di restare giovani per sempre e di sfidare la morte – seppure virtualmente – potrebbe far scaturire cose del tutto inaspettate.