C’erano il traffico di stupefacenti e la ridefinizione degli assetti di potere nella criminalità garganica dietro la strage di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia, nella quale persero la vita anche due contadini innocenti. Perché l’obbiettivo dei killer, il boss Mario Luciano Romito, rappresentava un ostacolo al riequilibrio delle dinamiche mafiose del Gargano. E quindi andava abbattuto, dopo essere scampato in passato a un agguato con un’autobomba.

Il 9 agosto dello scorso anno, invece, mentre era in auto con il cognato Matteo De Palma, i killer lo raggiunsero all’altezza della vecchia stazione del paese garganico e non gli lasciarono scampo. Erano almeno in tre, a bordo di due macchine, e a guidarli – secondo la Direzione distrettuale antimafia di Bari guidata da Giuseppe Volpe – c’era Giovanni Caterino, 38 anni, ritenuto vicino al clan Li Bergolis in lotta da anni con la famiglia Romito.

Il video degli arresti

Un altro presunto coinvolto ucciso in Olanda – Nella notte è stato arrestato su ordine del gip del Tribunale di Bari per concorso in omicidio con l’aggravante del metodo mafioso. Almeno una delle persone che presero parte all’organizzazione della strage che ha portato la mafia foggiana a diventare un’emergenza nazionale a livello mediatico è, secondo gli inquirenti, ora in carcere. Un’altra, stando ai riscontri legati a un altro omicidio, è invece stata uccisa ad Amsterdam nell’ottobre 2017. Si tratterebbe di Saverio Tucci, ammazzato un anno fa in Olanda per contrasti legati al traffico di droga dal reo-confesso Carlo Magno. Quando è stato estradato in Italia, il presunto omicida ha dichiarato in diversi interrogatori che Tucci gli aveva svelato di aver preso parte al quadruplice assassinio di Romito, De Palma e i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, la cui unica colpa era quella di aver assistito all’agguato del boss e del cognato-autista.

Il “film” dell’omicidio – Caterino – arrestato assieme a Luigi Palena, accusato solo delle detenzione delle armi che sarebbero servite per un altro omicidio – avrebbe pedinato Romito nei giorni precedenti alla mattanza, subito dopo la scarcerazione dei boss, tornato in libertà appena 6 giorni prima. Secondo la ricostruzione dei carabinieri di Foggia, guidati dal comandante Marco Aquilio, che hanno lavorato in collaborazione con il Reparto crimini violenti Ros di Roma, fu lui a condurre i sicari sul luogo del delitto al volante della sua vettura seguita a breve distanza da un’altra automobile con a bordo i killer. Questi avrebbero affiancato il Maggiolone in corsa e aperto il fuoco con un kalashnikov e un fucile calibro 12 mentre Caterino si dava alla fuga, ricostruita nei minimi dettagli grazie a intercettazioni su oltre 700 tracciati telefonici con 8 milioni di contatti e analizzando oltre 200 ore di video di decine di telecamere lungo il tragitto di vittime e assassini. Tanto che gli inquirenti sono stati in grado di stabilire anche la velocità alla quale il 38enne arrestato, a sua volta vittima di un tentativo di agguato-vendetta a febbraio, si allontanò dalla vecchia stazione di San Marco in Lamis: 176 chilometri orari.

La Dda: “Si aprono piccole fratture” – “Finalmente una rottura nel muro di omertà che da sempre contraddistingue quel territorio” sta dando “inizio a un nuovo corso nella lotta alla criminalità organizzata della provincia di Foggia, in questa come in altre indagini”, hanno spiegato gli inquirenti dell’Antimafia barese che a questa inchiesta ha applicato un pool composto da Luciana Silvestris, Giuseppe Gatti, Ettore Cardinali, Simona Filoni, Giuseppe Maralfa e Federico Perrone Capano, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Giannella. “Si è aperta una piccola frattura che costituisce un’assoluta novità. C’è anche il contributo di persone che stanno collaborando”, ha spiegato Giannella. “Manca ancora però nella società civile – ha aggiunto la pm Elisabetta Pugliese della Dna – la consapevolezza della necessità di ripristinare la legalità di quel territorio. Questa risposta dello Stato dimostra un cambio di marcia contro la criminalità garganica, che non è più territorio di impunità per fatti di sangue”.

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