Mimmo Lucano da ieri non può più girare per i vicoli del suo paese, Riace. Non può fermarsi al bar a scambiare due chiacchiere con i calabresi nati qui e con i nuovi calabresi nati dall’altra parte del Mediterraneo. Un giudice gli ha detto di andar via e lui, rispettoso della legge, è andato via. Alle 4 del mattino. All’alba come fanno i latitanti di San Luca, di Platì o di Africo. Uomini di panza e di ‘ndrangheta. Uomini potenti. Mimmo no, lui non è un boss, non ne ha la caratura, le relazioni, il potere e la forza. Mimmo è debole, un sindaco di paese che non scappa perché ha in testa un’illusione: cambiare il mondo partendo da quel piccolo borgo noto al resto dell’umanità per quei due guerrieri di bronzo strappati al mare.
Sia chiaro, noi abbiamo un profondo rispetto per la magistratura. Un pubblico ministero si convince che le indagini fatte dalla Guardia di Finanza sul sistema di accoglienza dei rifugiati a Riace sono giuste e chiede 15 arresti. Un giudice per le indagini preliminari ritiene che buona parte delle accuse rivolte a Lucano e alla sua “banda degli onesti” sono campate in aria, attacca il pm perché ha recepito “acriticamente” “le conclusioni” dell’inchiesta delle fiamme gialle, e di quelle 15 richieste di arresto ne cancella 14 su 15. Tranne quella di Lucano, costretto ai “domiciliari”.
Altro giudice al Tribunale del riesame, altra decisione: Mimmo è libero, ma non di dimorare a Riace. Deve andar via. Lontano. Ora, e sempre col rispetto massimo per pm e giudici, noi qualche contraddizione la rileviamo, qualche elemento di confusione ci appare più che evidente. E il tutto sembra ripetere lo scenario (confuso e contraddittorio pure quello) delle varie ispezioni ordinate da Prefettura di Reggio Calabria, dove Riace, il suo sindaco e il suo modello di accoglienza, è regno del malaffare e insieme paradiso in terra per i migranti. Per non parlare dell’atteggiamento del Viminale sotto tutte le gestioni, da Alfano a Salvini passando per Minniti. L’intero arco costituzionale.
Fa bene Lucano oggi a ricordare le accorate telefonate che riceveva dal Prefetto ad ogni sbarco di migranti al porto di Reggio Calabria. “Mimmo, quanti ne puoi prendere?”. Iniziavano sempre così. E quell’ex braccio destro del ministro Minniti, il prefetto Mario Morcone. Stesso tono, identiche accorate richieste. Ma non è questo il punto centrale della questione. Il punto centrale è la (certamente non voluta) coincidenza delle decisione giudiziarie (ripeto: un pm, un giudice, un tribunale del riesame) con la strategia politica su Riace. Che è così riassumibile: distruggere il modello, snervare il suo principale motore, Mimmo Lucano, sottrargli forze e tenacia, costringerlo in ginocchio, sconfiggerlo definitivamente. Perché Mimmo è un combattente che non guarda mai alla forza dell’avversario.
Lo indagano e lui non molla. Quindi lo arrestano, lo chiudono in casa, ma lui parla e progetta il futuro. Gli tolgono i fondi e lui promette che andrà avanti con le imprese autogestite che si sono messe in piedi a Riace e la solidarietà degli italiani. E allora lo liberano ma lo mandano via dal suo paese. Non deve frequentare vicoli e piazze, parlare con la gente, mobilitare e organizzare energie per realizzare il progetto. Mimmo Lucano deve sparire. Ripeto, sono solo coincidenze, certamente non volute. La Magistratura è indipendente dal potere politico e insensibile ai desiderata dei governi. Ma noi abbiamo il dovere di andare oltre, di leggere, capire e interpretare le coincidenze.