Quattro finestre temporali per la Quota 100, contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro, rinnovo di Opzione Donna e l’introduzione del calcolo contributivo per i vitalizi dei consiglieri regionali: queste le novità principali per quanto riguarda le pensioni. Per conoscere i dettagli delle misure varate dal governo bisognerà però attendere i testi definitivi della legge di bilancio e del decreto fiscale. Intanto, nelle ultime versioni dei due documenti, emergono già i primi dettagli.
Quota 100 in arrivo dal 2019 – Dal prossimo anno potranno andare in pensione i lavoratori che abbiano compiuto 62 anni di età e cumulato 38 anni di contribuzione, sfruttando quattro finestre temporali, una ogni tre mesi. Salvo cambiamenti dell’ultimo minuto, la Quota 100 partirà a febbraio. Di conseguenza, la prima finestra utile per i futuri pensionati si aprirà probabilmente entro inizio aprile. Prima di allora, l’interessato dovrà presentare la domanda di pensionamento all’Inps secondo regole che verranno scritte dall’istituto di previdenza qualche settimana dopo l’ok alla manovra. Potranno naturalmente decidere di uscire dal mercato del lavoro anche lavoratori che hanno un’età compresa fra i 62 e i 66 anni. Fermo restando il requisito minimo dei 38 anni di contribuzione. Per coloro che nel 2019 raggiungeranno invece i 67 anni resta la pensione di vecchiaia con almeno 20 anni di contribuzione. Secondo le prime stime, solo nel 2019 raggiungeranno Quota 100 circa 380mila lavoratori di cui oltre la metà dipendenti pubblici. Se tutti decidessero di andare in pensione, la spesa previdenziale salirebbe nel primo anno di 8 miliardi. Non è detto però che tutti i potenziali beneficiari di Quota 100 opteranno per il pensionamento che resta un atto volontario con conseguenze ben precise: secondo il calcolo della società di consulenza Progetica per Il Corriere, l’uscita con il minimo dell’età anagrafica e contributiva potrebbe comportare una decurtazione dell’assegno previdenziale del 25 per cento.
Secondo quanto riferito dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, nell’audizione alla commissione lavoro della Camera, andare in pensione con quota 100 potrebbe costare ad un lavoratore pubblico circa 500 euro al mese. “Prendiamo un lavoratore della Pa che ha una pensione calcolata con il metodo retributivo fino al 2011 e solo 7 anni, invece, calcolati con quello contributivo con una retribuzione intorno ai 40mila euro. Questo vorrà dire che in un anno avrà versato circa 13mila euro di contributi. Se andasse in pensione a 67 anni dunque, potrebbe maturare 250 euro in più per la parte retributiva e altri 250 euro per quella contributiva”, spiega Boeri. Senza contare che il neo-pensionato non potrà lavorare visto che l’uscita con Quota 100 comporterà il divieto di cumulo del reddito pensionistico con quello da lavoro. Peraltro, secondo quanto riferito da Boeri, le verifiche sullo stop al cumulo “rappresentano un’operazione complessa sopratutto per la parte relativa alle ispezioni necessarie alla verifica del rispetto del divieto che significa impiegare risorse importanti per controllare se le persone in pensione lavorano o meno”. Con un costo importante per le casse dello Stato.
Un miliardo in tre anni dalle pensioni d’oro – Con ogni probabilità, non si tratterà di una sforbiciata retroattiva né di un ricalcolo contributivo, ma di un contributo di solidarietà a carico degli assegni sopra i 4500 euro, cioè 90mila euro lordi l’anno. Per evitare ricorsi e bocciature della Consulta, il governo si starebbe infatti orientando verso il blocco triennale dell’adeguamento all’inflazione per le pensioni d’oro di cui beneficiano 30mila individui. L’operazione non sarebbe del resto nuova: la sperimentò il governo Letta che riuscì ad aggirare il pericolo di incostituzionalità grazie ad una misura di carattere temporaneo ed eccezionale. Inoltre il contributo di solidarietà a carico degli assegni più pesanti avrebbe il merito di garantire risorse certe per l’adeguamento delle pensioni minime a 780 euro, la soglia di povertà indicata da Bruxelles. Quanto al trattamento degli assegni più bassi, il ritocco al rialzo terrà conto del fatto che il beneficiario sia o meno proprietario della casa in cui abita.
Opzione donna verso il rinnovo – Secondo quanto riferito da una nota sulla manovra del Consiglio dei ministri, anche per il prossimo anno potranno andare in pensione anticipatamente le donne lavoratrici che abbiano compiuto 58 anni di età, se dipendenti, o 59, se autonome. A patto di aver versato almeno 35 anni di contributi. La scelta di lasciare il lavoro prima del previsto porta in dote il passaggio al sistema di calcolo esclusivamente contributivo. Di conseguenza l’assegno pensionistico potrebbe subire una sforbiciata compresa fra il 20 e il 25% rispetto al computo con il sistema misto.
Tagli ai vitalizi dei consiglieri regionali – La misura è all’interno del decreto fiscale. Salvo ritocchi, ridurrà i costi della politica nelle Regioni attraverso l’introduzione del calcolo contributivo dei vitalizi derivanti dal mandato elettivo. Inoltre, il governo ha anche intenzione di bloccare il trasferimento dei fondi per i vitalizi alle regioni che non ne prevedano l’abolizione. Ma al momento mancano i dettagli dell’operazione.