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Senza Riace, cosa resta della Calabria?

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Che cosa resta della Calabria senza Riace? Cosa di positivo di quella regione in questi anni si è conosciuto nel mondo se non il modello di accoglienza proposto dal sindaco di quel comune? E perché, quali sono i motivi che hanno portato a questo giudizio unanime? Tutti tifosi per partito preso?

Diamo credito, come è nostro dovere, all’inchiesta della magistratura. E senza attendere il giudizio definitivo riteniamo pure che il sindaco abbia ecceduto nell’esercizio dei suoi poteri: anche se lo scopo è umanitario la legge dev’essere rispettata. Bene. Ma erano necessarie le manette? L’indagato non si è certo difeso negando, sottraendo prove o camuffandole, non ha certo manifestato la volontà di scappare, non si è mai reso irreperibile. Ha dichiarato di aver obbedito al senso di umanità ritenendolo superiore ai codici. Ha sbagliato? Pagherà. Ma perché le manette? E perché ora il divieto di dimora a Riace?

E’ davvero una misura di giustizia, urgente e indifferibile? Qui non c’entra il merito dell’accusa, ma la valenza simbolica di questa decisione. Obbligare Mimmo Lucano a lasciare Riace ha il sapore dell’estirpazione di una pianta cattiva, il senso che quel modello dev’essere raso al suolo. Già il ministero dell’Interni aveva provveduto a farlo, revocando a Riace l’autorizzazione ad accogliere ed assistere migranti. La giustizia sembra purtroppo completare l’opera politica. E lo fa in una terra che non trova mai giustizia, con una severità che è sconosciuta nei mille casi di malaffare che in quel territorio si manifestano e si sviluppano, e con un puntiglio che lascia stupefatti.

Se il modello di integrazione proposto dal comune di Riace, e applaudito nel mondo, non solo è fuorilegge ma agevola comportamenti criminali, abbiamo la legittima curiosità di conoscere quello alternativo. Cosa si propone? Dov’è?  Ne esiste uno? O per caso, come sembra, l’idea è semplicemente quella di trasformare i migranti in carcerati, i clandestini in delinquenti, le donne in prostitute? E poi?

Perché non volgiamo lo sguardo a quel che resta dei nostri paesi di montagna, che muoiono perché i vivi scappano?

E se non vogliamo che li abitino anche i “neri”, perché poi chiediamo le loro braccia ogni volta che servono? A raccogliere pomodori e fragole, insalata e angurie. A spalare letame nelle porcilaie, a respirare l’aria tossica delle concerie, a far da badanti ai nostri genitori, o da colf nelle nostre case?

Dove dovrebbero abitare, secondo il ministro dell’Interno? Nelle stalle, come i sikh a Sabaudia, vero? Nelle capanne di lamiera della Capitanata, nei tuguri di Mondragone? Ci sono giudici a Sabaudia? Perché non viene mostrata la forza della legge in provincia di Foggia, in quella di Caserta e negli altri territori dove è rispettato il sopruso e non il diritto?

La verità è amara purtroppo. Questo solo è il modello che conosciamo. E’ così che vogliamo continuare, perciò spaventa tanto Riace: non sia mai trattare gli uomini, quegli altri, da umani.

Accatastati come bestie, magari sì.

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