Gli atti dell'inchiesta per sequestro di persona passano alla procura che li ha già inviati all'ufficio inquirente di Catania. Quello della competenza era il primo nodo da sciogliere. In via preliminare dunque i magistrati hanno stabilito che la presunta condotta illecita del ministro sarebbe partita nelle acque etnee e non in quelle di Lampedusa
L’inchiesta per sequestro di persona su Matteo Salvini cambia sede. Il tribunale dei ministri di Palermo si è spogliato del caso legato al trattenimento sulla nave Diciotti dei migranti soccorsi in mare dalla Guardia Costiera il 16 agosto scorso. Gli atti sono stati trasmessi alla procura perché il tribunale si è dichiarato territorialmente incompetente a indagare.
Il presidente del Tribunale dei ministri Fabio Pilato ha comunicato di avere “portato a compimento le proprie attività” e “di avere rimesso gli atti al procuratore della Repubblica di Palermo” Francesco Lo Voi “per l’ulteriore corso a seguito di declaratoria di incompetenza territoriale”. Lo Voi ha già inviato le carte ai colleghi di Catania. L’ufficio inquirente etneo passerà quindi gli atti al tribunale dei Ministri competente. “Incredibile, continua l’inchiesta su di me: sarei un sequestratore (rischio 15 anni di carcere) per aver fermato in mare una nave carica di immigrati. Ora l’indagine, partita da Agrigento, passerà da Palermo a Catania. Ma chiudetela qui e lasciatemi lavorare“, commenta il leader della Lega.
Quello della competenza era il primo nodo da sciogliere. In via preliminare dunque i magistrati hanno stabilito che la presunta condotta illecita del ministro sarebbe partita nelle acque di Catania, dove la Diciotti è stata ferma per giorni in attesa del via libera allo sbarco dei profughi. E non quindi nel mare di Lampedusa, dove alcuni migranti in precarie condizioni di salute venne fatto approdare per quello che evidentemente i magistrati hanno ritenuto un mero scalo tecnico.
L’inchiesta a carico del ministro e inizialmente del suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi, poi uscito dall’indagine, è partita ad Agrigento: i pm della città dei templi ritennero infatti che il reato fosse stato commesso nelle acque dell’isola al centro del Mediterraneo. Ipotizzando il coinvolgimento di un esponente dell’esecutivo, furono costretti a passare la carte a Palermo che, come prevede la legge, mandò tutto al locale tribunale dei ministri.
Nei giorni scorsi il tribunale dei Ministri ha sentito alcuni funzionari del Viminale e ufficiali della Guardia Costiera per cercare di ricostruire la “catena di comando” attraverso cui passò il divieto di sbarco dei migranti trattenuti a bordo della Diciotti e stabilire così il luogo in cui il reato è stato consumato. La risoluzione della vicenda era particolarmente complessa visto che il divieto del Viminale non è mai stato formalizzato attraverso ordini scritti. Alla fine i giudici hanno dunque optato per una pista diversa da quella di Patronaggio: gli atti, quindi, finiranno ora a Catania dove la Diciotti era rimasta per giorni ormeggiata al porto.