Scrivo dopo una lunghissima e faticosa pausa estiva. Diletta ha concluso il suo quarto anno di liceo artistico lo scorso giugno. L’estate ci ha colto totalmente impreparati a un cambiamento radicale non solo di Diletta ma di tutta la famiglia. Si arriva a essere più consapevoli col tempo. Non è stato assolutamente sufficiente. A luglio ci siamo recati al solito mare che era sempre piaciuto ma crisi, dolori, assenze epilettiche, tristezze e tantissime piccole cose che tutte insieme hanno richiesto più e più volte il pronto soccorso e poi due ricoveri.
Accertamenti, ansia, notti in branda con una tetraparesi distonica. Notti di rabbia e paura per il sonno mancato e possibili crisi. Giorni senza riposo su una stanchezza ormai radicata. Nulla. La risposta è stata per fortuna che non c’era niente di gravemente organico. Arriviamo alla fine di luglio con la paura di muoverci da Roma e si decide di optare per il rimanere tutti alla base cercando di organizzare qualche momento di svago per le sorelle di Diletta.
Solo ad agosto inoltrato finalmente Diletta riesce a spiegare tanto malessere: non vuole tornare a scuola, non vuole frequentare il quinto anno. È stanca, annoiata e ha bisogno di nuovi stimoli, di nuove esperienze, di nuove occasioni di crescita. Si è stancata del mare e della solita vacanza col bagno in acqua che fa da 19 anni. Vuole vedere città, ma che siano vicine a casa perché il suo letto elettrico è irrinunciabile.
Piccoli spostamenti ma più frequenti e basta mare. “Ti prego mamma! Basta “ e io, la mamma, che lo facevo per lei pur non stando bene. Forse se ne è accorta e si è preoccupata per me? Domande che sono la quotidianità dei care giver con i propri cari. Rapporti fatti di esclusività che alla fine assottiglia il limite tra la fine dell’uno e l’inizio dell’altro anche quando questo dovrebbe essere evitato. Eppure rimane il male minore. Non farlo implicherebbe il vuoto intorno a chi ha bisogno di noi. Trascorre nel dubbio, nello sbigottimento e nella gestione del programma saltato tutto il mese di agosto.
Inizio a inventare la vita del dopo liceo. Diletta non vuole andare in un centro, ne visitiamo alcuni e uscendo ripete solo: non mi piace. A casa sappiamo nel cuore quale sia il suo vero desiderio, ma va fatto con i conti alla mano della burocrazia dannata e maledetta di uno Stato che se sborsa 10 mila euro al mese tra pulmino, insegnanti, operatori scolastici, terapie e cooperative, non ti aumenta il budget di 500 euro che ti contano come autonomia per una vita realmente piena, intensa e soddisfacente.
Quindi si fa da noi. Naturalmente la mamma, care giver, amministratore di sostegno rinuncia e azzera i progetti personali optando per il lavoro da casa che gli conceda di tirare una coperta così corta da sembrare un canavaccio e farci scappare la vita che Diletta desidera. La vita che Diletta merita e che come tutti ha il diritto di vivere. Non uso il condizionale perché rifiuto la condizione. È diritto di ciascuno provare a realizzarsi.
Oltre noi stessi e la nostra famiglia ristretta, nessuno aiuta. Anzi abbiamo fin troppa gente che passa il tempo a criticare, giudicare, sputare sentenze e balle su di noi. Questa faccenda degli impiccioni che ostacolano e strumentalizzano dopo 20 anni inizia a trovare la mia stizza. Sono davvero stanca. Che siano amici, parenti o conoscenti non fa differenza. Sono nella fase della vita in cui la stanchezza è tanta e chi ha fatto la sua scelta deve avere gli attributi per tenersela stretta e girare alla larga da chi non ha mai smesso di combattere.
Sbagliamo noi madri, sbagliamo noi care giver, sbagliamo tanto. Sbagliamo a fidarci. A credere. ma viviamo una condizione di amore così grande che tendiamo a immaginare di avere intorno anime buone anche quando solo solo streghe mascherate. Ma noi sappiamo ormai ignorare e sorridere… un po’ Peppa Pig: saltiamo benissimo le pozzanghere con tutta la sedia a rotelle.
In questo frullatore acceso ci siamo riuscite: Diletta ha una nuova assistente. Diletta ha una programmazione settimanale precisa e serrata che la vede impegnata, motivata e piena di cose di fare. Tra le varie cose esiste la pittura. Dipinge. Una tizia di un servizio pubblico, mentre mi rimproverava per averla tolta da scuola (ha 20 anni non 15!) e mi additava come illusa per non averla già inserita in un centro (non vuole! esiste! non vuole!), mi ha chiesto: “Almeno è brava a dipingere?”. Le ho risposto la verità: “No, al momento non è brava , ma le piace tanto. Perché a lei risulta che tutti siano bravi a fare ciò che fanno? E ritiene che tutti abbiano una grande passione da investire in ciò che fanno?“. Mi sono resa conto della prossima battaglia culturale che stiamo intraprendendo. Anzi, che abbiamo già intrapreso.
Un disabile grave non autonomo deve vivere dove il servizio regge e non dove vuole provare a inserirsi. Anche questa volta la burocrazia si sbaglia. Diletta farà una piccola mostra e chi vedrà i suoi quadri vedrà il suo cuore, il suo animo, la sua passione, il suo amore e sarà suo amico. E se qualcuno vorrà farlo con lei saremo ben lieti di trascorrere un pomeriggio immersi nel mondo delle nuvole e dell’espressione di un io che sorge, risorge e insorge nonostante la gabbia della tetraplegia.
L’io vince. L’io è mente. L’io è ignoto. E io non mollo. Finché Diletta sarà in vita esprimerà il suo io e dove non arriveremo sapremo di aver fatto il possibile per provarci. E sappiamo che in tanti farete il tifo per lei e tutti i ragazzi che come lei, inseguono un sogno, anche se apparentemente impossibile.
Lasciatemi ringraziare il liceo artistico frequentato da Diletta che ha permesso lo sviluppo di una passione, di una motivazione e di un desiderio fonte di prospettive verso quel futuro e quell’orizzonte cui nessuno deve rinunciare mai. Grazie alla professoressa Rita Cittadino, grazie al dirigente scolastico Flavio De Carolis che ha corso tra un ufficio e l’altro insieme a questa mamma un po’ matta e grazie a tutti i professori e ai compagni che sono e rimarranno parte di un bel pezzo di vita di Diletta.
Obiettivo raggiunto. Bel al di sopra delle aspettative. Ora troveremo il modo per proseguire sempre al massimo.