Internet si diffonde più lentamente del previsto, e seppure il numero di persone connesse continui ad aumentare, il ritmo di crescita ha subito un brusco rallentamento. Il picco è stato registrato nel 2017, con un +19%, mentre l’anno scorso ci si è fermati solo a +6%.
I dati sono stati raccolti dalle Nazioni Unite, in particolare dal suo organo ITU (Unione Internazionale per le Telecomunicazioni), presieduto da Malcom Johnson. Saranno pubblicati il mese prossimo tramite la World Wide Web Foundation, istituzione fondata dal “padre di Internet” Tim Berners Lee e dedicata alla promozione dell’uguaglianza digitale nel mondo. Il quotidiano britannico The Guardian ha avuto accesso al rapporto in anteprima e ne ha pubblicato una sintesi.
Nel 2014 si prevedeva che entro il 2017 la metà della popolazione mondiale sarebbe stata online, ma stando a questi dati il traguardo è rimandato a maggio 2019. Dire che una persona è “online” significa che è sufficiente che si sia collegata almeno una volta negli ultimi tre mesi. Similmente, se il ritmo di crescita medio fosse rimasto quello del 2011 (+11%), oggi avremmo circa mezzo miliardo di persone in più online.
Il tema portante è proprio l’uguaglianza tra le persone, declinata appunto nella possibilità di accedere a Internet. Un accesso che per molti europei è scontato, un’azione ordinaria che facciamo molte volte al giorno, ma che altrove nel mondo è ancora sconosciuta. Ed è un fattore chiave, perché accesso a Internet significa crescita personale e accesso a occasioni di crescita finanziaria, sia personale sia sociale.
Sì, perché se più persone accedono a Internet si ottiene un potenziale aumento del Prodotto Interno Lordo, per via delle opportunità economiche che può attivare. Ma anche crescita personale per l’individuo, una percezione confermata anche da un sondaggio citato dal Guardian; lo stesso sondaggio, tuttavia, evidenzia come in certe aree del mondo una diffusione generale di Internet rappresenta una potenziale minaccia alla moralità.
Oggi ci sono ancora 3,8 miliardi di persone offline, con “una percentuale allarmante di donne. Nelle aree rurali povere, gli uomini superano le donne su Internet in una proporzione anche di due a uno”. Persone che, come ricorda il Guardian, “sono escluse da dibattiti pubblici, formazione, gruppi sociali e accesso a strumenti digitali della pubblica amministrazione come la gestione delle tasse o la richiesta della carta d’identità”.
“Le donne hanno maggiori probabilità di essere escluse a causa delle diseguaglianze finanziarie, e in buona parte per le norme sociali”, spiega Nanjira Sambuli della Web Foundation, “In alcune comunità l’idea stessa che una donna possieda qualcosa di suo, anche un cellulare, è disapprovata”. Una differenza nell’accesso a Internet, dunque, si traduce in disuguaglianze sociali e di opportunità.
Il problema andrebbe affrontato su due fronti, quello dei costi e quello della formazione. Gli operatori telefonici non hanno interesse a connettere le aree più remote del mondo se non sono certi del ritorno economico dell’investimento.
“Non si tratta solo di connettività. Devi far sì che collegarsi valga la pena affinché la gente paghi per farlo. Ci devono essere contenuti che possono capire e che portino dei benefici”, spiega Malcom Johnson, che dice di vedere “enormi possibilità” in quei progetti che prevedono l’uso di satelliti e palloni aerostatici.
Affinché le persone siano disposte a pagare un abbonamento, dunque, è necessario che sappiano usare gli strumenti digitali almeno a livello elementare; ancora più importante, serve che online trovino contenuti in una lingua che capiscano e che possano rivelarsi utili in qualche modo.