Dopo la grande crescita di agosto, dovuta allo smaltimento dei modelli non in regola con il nuovo ciclo di omologazioni WLTP, il crollo del mese scorso. Male Italia, Germania, Regno Unito e Spagna, mentre tra i costruttori perdono terreno soprattutto il gruppo Vw (-48%) e quello FCA (-31,4%). Il dicastero dello svilupo economico intanto ha convocato i rappresentanti di tutte le sigle sindacali per il 30 ottobre
Dopo i bagordi estivi, i nodi vengono al pettine. Il boom del mercato auto registrato in Europa ad agosto (+ 29,8% e 1,17 milioni di unità) aveva precise ragioni: promozioni allettanti e le (molte) autoimmatricolazioni – i cosiddetti veicoli “Km 0” – utilizzate dai concessionari, fatte per dribblare il nuovo ciclo di omologazione WLTP, in vigore da settembre, che avrebbe reso molti modelli fuori legge e invendibili. Nel nono mese dell’anno, però, lo stesso mercato ha presentato il conto, con una fisiologica flessione della domanda: un -23,4% sul computo complessivo, pari a 1,12 milioni di auto.
Male l’Italia (-25,4%) e malissimo la Germania (-30,5%); non è andata molto meglio né al Regno Unito (-20,5%), né alla Spagna (-17%). Se non altro, il consuntivo dei primi nove mesi dell’anno parla di 12,3 milioni di auto immatricolate, pari a un +2,3%. Molti costruttori, poi, ne escono con le ossa rotte: FCA cala del 31,4% a 62 mila immatricolazioni. Fa ancora peggio il gruppo Volkswagen, che sfiora il -48% (con 178 mila registrazioni), mentre contengono i danni Daimler (-12% e 88 mila pezzi) e gruppo BMW (-8,8% e 102 mila auto). Sul versante transalpino regge PSA (-8% e 201 mila pezzi) e affonda Renault (-27% e 96 mila unità). Galleggia Ford (-13,5% e 79 mila auto) e rimane stabile il gruppo Jaguar Land Rover (27 mila vetture). In controtendenza Volvo, che cresce del 3% (28 mila auto). Lo tsunami colpisce Nissan (-43,8% e 36 mila immatricolazioni) e Honda (-27% e 12 mila auto), ma risparmia Toyota (-2% e 69 mila pezzi). Le coreane Hyundai e Kia subiscono una flessione, rispettivamente, del 10,4% (47 mila vetture) e del 43,8% (49 mila unità).
“La flessione a due cifre registrata a settembre non è una sorpresa: l’introduzione, da inizio mese, del nuovo test di omologazione Wltp per tutte le nuove vetture immesse sul mercato e, quindi, dell’obbligo di immatricolare esclusivamente vetture dotate di un propulsore Euro 6C e 6D temp, ha causato un’impennata delle immatricolazioni ad agosto (+29,8%), ovvero un’anticipazione degli acquisti”, commenta Aurelio Nervo, presidente di Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica.
Anche per il Centro Studi Promotor l’ultimo bimestre ha avuto un andamento altalenante per le suddette motivazioni: il nuovo sistema di omologazione Wltp, dopo la forzatura di agosto, “ha determinato poi il vuoto di domanda di settembre a cui si è aggiunto il fatto che molte Case hanno avuto difficoltà a soddisfare la domanda perché non avevano un numero sufficiente di vetture con la nuova omologazione”.
Complessivamente, però, il dato gennaio-settembre è positivo; e per il 2018 in Italia si veleggerà verso le 2 milioni di immatricolazioni: “È questo il livello intorno a cui dovrebbero attestarsi le immatricolazioni anche nel 2018. Se le condizioni economiche del Paese lo consentiranno, il mercato italiano dovrebbe però continuare a crescere nei prossimi due-tre anni”, afferma il presidente del Centro Studi Promotor, Gian Primo Quagliano.
Tuttavia, c’è anche chi vede un nuovo spauracchio all’orizzonte: il mancato accordo commerciale fra UE e UK a seguito della Brexit. “Il tempo stringe, ma non è ancora troppo tardi”, dice Erik Jonnaert, segretario generale dell’Acea, l’Associazione Europea dei Produttori di Auto: “Stiamo sollecitando i gruppi di negoziatori di entrambe le parti a raddoppiare i loro sforzi per concludere con successo un accordo”. Da una parte si rischia un aumento dei tempi di sosta in dogana che paralizzerebbe la produzione nel Regno Unito, dall’altro c’è il pericolo rappresentato dai dazi, che in mancanza di un’intesa e sulla base delle regole del Wto peserebbero per il 10% su un settore dove i margini di guadagno risultano mediamente ben più contenuti.
“I nostri membri stanno già facendo piani d’emergenza e stanno cercando spazi per immagazzinare le parti. Tuttavia lo spazio richiesto per conservare scorte oltre il breve periodo sarebbe assolutamente enorme e costoso”, spiega il segretario Acea. Tuttavia, alcuni costruttori starebbero “pianificando un arresto temporaneo della produzione post-Brexit”. Sugli extra costi doganali, lo stesso Jonnaert sottolinea come questi “saranno trasferiti sul consumatore o dovranno essere assorbiti dai produttori”.
Nel frattempo, in Italia, il 30 ottobre il Ministero dello Sviluppo Economico ha convocato un incontro per fare il punto sulla situazione del settore auto nel nostro Paese. Alla riunione sono invitati i segretari nazionali di tutti i sindacati, Fim, Fiom, Uilm, Ugl Metalmeccanici e Fismic. “La decisione del Ministero di indire un incontro di approfondimento riguardante l’esame della situazione della produzione di auto nel nostro Paese è un primo passo che inverte la tendenza degli ultimi Governi”, dice Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive.
“La Fiom da tempo chiede l’apertura di un tavolo di confronto sul futuro dell’auto coinvolgendo direttamente le case costruttrici e le aziende della componentistica, visti i grandi cambiamenti tecnologici nel settore, le incertezze produttive e di mercato, le nuove limitazioni sulle emissioni, e l’aumento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali per i lavoratori” continua De Palma: “Questo è un primo obiettivo raggiunto. In questi mesi le lavoratrici e dei lavoratori si sono mobilitati in tutti gli stabilimenti Fca e Magneti Marelli per avere un confronto sugli investimenti, l’occupazione e la contrattazione. Auspichiamo che questo primo positivo passo intrapreso dal Ministero porti alla creazione di una commissione nazionale permanente per le politiche industriali del settore”.