Non solo, non si chiamerà più "Ordine dei Giornalisti", bensì "Ordine del giornalismo". Addio anche al praticantato nelle redazioni. Ora le linee guida dovranno essere recepite, con o senza modifiche, dal Governo, che deciderà se trasformarle in una proposta di legge
Nuove modalità di accesso, superamento dell’esclusività professionale e istituzione di un registro degli uffici stampa: sono questi i punti cardine delle linee guida per la riforma dell’Ordine dei giornalisti, approvate a larga maggioranza dal Consiglio nazionale e presentate al Dipartimento della Presidenza del Consiglio per l’editoria. Nel progetto c’è anche il cambio di nome dell’istituzione, che si vorrebbe far diventare “Ordine del giornalismo“, “per sottolineare la funzione di presidio del diritto del cittadino ad essere informato”, spiega il presidente Carlo Verna.
Al centro della riforma c’è il cambiamento delle modalità di iscrizione all’Ordine. Per i professionisti non sarà più possibile svolgere il praticantato presso una testata (divenuto ormai quasi impossibile da ottenere), ma sarà necessario aver conseguito una laurea (almeno triennale, in qualunque disciplina) e frequentato un corso pratico della durata di un anno; oppure, come avviene già adesso, la frequenza di una scuola biennale di giornalismo. Per quanto riguarda i pubblicisti, invece, il rapporto di lavoro necessario all’iscrizione dovrà essere verificato ogni sei mesi, con la documentazione contabile dei pagamenti ricevuti e gli attestati di frequenza dei corsi obbligatori di formazione.
Inoltre, anche gli iscritti all’elenco professionisti potranno svolgere altre attività, purché non in conflitto d’interessi con la professione giornalistica; ogni consiglio regionale, poi, istituirà il Registro degli uffici stampa pubblici e privati composti da giornalisti iscritti all’Albo. “A un anno dall’insediamento abbiamo fatto la nostra parte, ora dobbiamo aspettare la risposta di governo e Parlamento”, dice ancora Verna. “Vanno riformati la funzione deontologica dell’Ordine e l’accesso alla professione, perché i luoghi di lavoro che un tempo erano navi scuola non ci sono più e noi vogliamo evitare ogni sfruttamento”, spiega, sottolineando l’importanza che la categoria sia unita “in un momento drammatico per il settore, in cui si minaccia di togliere sostegno alla piccola editoria mettendo a rischio il pluralismo”.
Ora le linee guida dovranno essere recepite, con o senza modifiche, dal Governo, che deciderà se trasformarle in una proposta di legge. In una clausola, il Consiglio nazionale si è riservato “la possibilità di valutare gli effetti dei cambiamenti in due anni di regime transitorio”, oltre ad ipotizzare per il futuro la creazione di un albo unico, senza distinzioni tra professionisti e pubblicisti.