Condannato a un anno di reclusione l’ex sindaco di Assemini (Cagliari) Mario Puddu, attuale coordinatore del Movimento 5 Stelle in Sardegna e candidato governatore alle prossime regionali. Il gup del Tribunale Roberto Cau ha accolto la richiesta di condanna del pm Marco Cocco che lo accusava di abuso d’ufficio. Puddu – presente in aula al momento della sentenza – è uscito scosso e ha rilasciato solo qualche battuta, confermando che la condanna avrà implicazioni sulle prossime elezioni. E poco dopo è arrivato l’annuncio: “Dopo la condanna, ritiro la mia candidatura alla presidenza della Regione Sardegna. “Sono orgoglioso – aggiunge – di appartenere a un Movimento che chiede a chi è stato anche solo condannato in primo grado, di fare un passo indietro”. I fatti risalgono al 2015 quando tre consigliere pentastellate dissidenti, poi espulse, presentarono un esposto contro l’allora sindaco, nel quale lo accusavano di aver ideato una pianta organica del Comune di Assemini in modo tale da demansionare una dipendente – costituitasi parte civile – a vantaggio di altre due, non indagate.

Il 5 agosto 2018 era arrivato la conferma per Puddu dopo il voto online sulla piattaforma Rousseau. Puddu, 45 anni, ex sindaco di Assemini – alle porte di Cagliari – e coordinatore isolano per le ultime Politiche aveva ricevuto 981 voti su 1.804 votanti (il 54%). Era l’unico nome con un’esperienza amministrativa e con un ruolo importante nel M5s isolano. Gli altri attivisti in corsa erano Luca Piras, docente universitario (464 voti), Rita Monageddu (285 voti) e Anna Sulis (74 voti) entrambe dipendenti regionali.

“È un onore cercare di fare qualcosa per la mia Terra, un onore ancora più grande farlo come rappresentante del M5s. Ne approfitto – aveva scritto su Facebook –  per ringraziare i tanti che mi hanno dato la loro fiducia ma anche tutti gli altri che hanno esercitato il loro diritto votando gli altri candidati governatore e i candidati consigliere”. Un risultato comunque importante per i Cinquestelle in Sardegna rispetto a quanto successo nel 2014 quando per via delle tensioni interne un mese prima del voto non fu concesso da Beppe Grillo l’uso del simbolo. Dopo il risultato qualcuno aveva richiamato il rgolamento M5s, il Non Statuto del 2016: secondo l’articolo 7 i candidati – anche alle competizioni locali – sono scelti tra coloro che “siano incensurati e che non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico, qualunque sia la natura del reato ad essi contestato”

I fatti contestati a Puddu riguardano il suo ruolo di amministratore e la riorganizzazione interna del Comune che avrebbe penalizzato alcune alcune dipendenti. Tutto partì nel 2015 dall’esposto di tre consigliere del M5s, poi espulse tramite una email agli indirizzi personali firmata lo staff di Beppe Grillo. Il motivo dello scontro risaliva a un consiglio comunale del marzo 2015, durante il quale le tre consigliere avevano lanciato pubblicamente al sindaco e alla giunta accuse a cui era seguito l’esposto in Procura. Prima ancora una segnalazione all’Anac, autorità nazionale anticorruzione. Due le contestazioni: l’esistenza di uno staff occulto – un avvocato, Francesco Murtas; un ingegnere, Antonello Deidda; e un perito edile, Antonio Nioi– e il riordino dell’ente attuato con discrezionalità. Il sindaco, Mario Puddu, aveva affidato a una lunga nota su Facebook l’amarezza e la difesa, assoluta. Oggi il verdetto di primo grado. In attesa di altre decisioni e anche le motivazioni che dovrebbero essere depositate prima delle elezioni previste a febbraio 2019.

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