di Francesco Giubileo e Francesco Pastore
Il Governo stanzierà circa un miliardo di euro per la riforma dei centri per l’impiego (Cpi). Qui di seguito prendiamo spunto da alcune dichiarazioni del ministro del Lavoro Luigi Di Maio (disponibili su: www.lavoro.gov.it) per capire meglio come sarà realizzata la riforma.
1. L’erogazione del reddito di cittadinanza sarà centralizzata a livello nazionale e l’assegno non sarà erogato dai Cpi. In altri termini, il reddito di cittadinanza (Rdc) verrà erogato probabilmente dall’Inps. Non verrà realizzato il modello one stop tipico di altri paesi (dal Mississippi alla Germania), ovvero un unico posto dove si attuano tutte politiche del lavoro, ma si avrà un “ping-pong” tra Cpi e altri istituti, come già avviene per la Naspi. Sarebbe stato utile il modello one stop, ma avrebbe riscontrato difficoltà burocratiche insormontabili.
2. Ci sarà un software unico che coordinerà tutto il processo e incrocerà le banche dati. Conosceremo ogni giorno chi sta percependo il reddito, come si sta formando, se ne ha diritto. Questo è l’obiettivo che da ormai un paio di anni sta cercando di realizzare Anpal per l’erogazione di qualche “decina“ di migliaia di assegni di ricollocazione, ma gli intoppi informatici e logistici sono stati finora insuperabili. Come pensa il ministro di rendere operativo in pochi mesi un modello che dovrà gestire milioni di beneficiari del rdc. La verità è che ad aprile 2019, quando si prevede la partenza del rdc, questo modello quasi certamente non sarà pronto.
di Manolo Lanaro
Passiamo ora ad alcuni punti della riforma dei Cpi presentata in questi giorni agli assessori regionali da cui dipende ormai la gestione dei Cpi:
1. Nasce la figura dell’operatore per i servizi del lavoro: è certamente una proposta condivisibile, ma richiederà un percorso di medio periodo. Rischiamo anche di trovarci un “gap” di competenze tra responsabili dei Cpi e queste risorse umane più preparate dei loro responsabili. Conviene che il rafforzamento del personale parta dai livelli più alti per poi arrivare ai semplici operatori.
2. Software unico e integrazione delle banche dati: il datawarehouse delle politiche del lavoro, come la piattaforma unica, è uno strumento “fondamentale”, ma, come dicevamo, stanno lavorando da anni per implementarlo, forse più che proporre una “nuova” piattaforma, sarebbe il caso di vedere perché quella esistente o quelle passate hanno presentato delle criticità.
3. Bando per la creatività per creare un brand riconoscibile: è apprezzabile il tentativo di dare un nuovo volto ai Cpi, ma non basta rinominarli in “Officine del lavoro”. È necessario rimodellare e costruire, attraverso un adeguato piano di social media marketing, la figura dei Cpi e la comunicazione dei propri servizi.
4. Strumenti e rete, vale a dire rafforzare la dotazione strumentale per migliorare la connettività dei Cpi. Sicuramente una proposta condivisibile: al Sud il problema va risolto per agevolare la inter-polarità tra piattaforma, banche dati e accesso delle informazioni.
Restiamo scettici, invece, sulla possibilità di finanziare quanto previsto con un solo miliardo di euro. Ma a parte questo, cosa manca alla riforma? Non viene data la giusta enfasi ad alcuni fattori delle politiche attive del lavoro che riteniamo fondamentali poiché rappresentativi delle migliori pratiche di altri Paesi. Se vogliamo rendere efficienti i Cpi, la figura dell’operatore dei servizi del lavoro non basta; manca l’agente commerciale, che sia in grado di raccogliere le esigenze delle imprese coerenti con il target dell’utenza media dei centri.
di Fabio Abati, Mauro Episcopo e Alberto Marzocchi
Questa è una delle attività più complesse e difficili, ovvero “piazzare” sul mercato i più svantaggiati. È possibile farlo solo con tre strumenti:
1. Un percorso formativo di medio periodo (usando gli strumenti del Social media marketing) che viene adattato alla persona in base al suo “profilo” (solo nei casi più distanti dal mercato del lavoro). È bene sottolineare che non si tratta dei corsi “standard” classici e generici che non servono a nulla in termini di ricollocazione, ma di un percorso con più docenti specializzati e più pacchetti formativi;
2. La realizzazione di fiere del lavoro. Parliamo del modello “Mississippi” citato dal ministro Di Maio in precedenza. L’idea è organizzare quattro fiere del lavoro al mese (chiamate Fiere del lavoro del governatore) che servono per ottimizzare anche le interazioni tra domanda e offerta del lavoro prodotte dalle piattaforme online. Inoltre servono per attività formative e di aggiornamento dei disoccupati edì anche degli operatori del settore. Il ruolo del governatore regionale può essere fondamentale per convincere le imprese a partecipare. Non basta la presenza in sé del politico ma occorrono incontri ad hoc (settoriali e per qualifica professionale)
3. Infine, oltre all’incentivo occupazionale (che funziona sempre), bisogna pensare a strumenti che agevolino la mobilità occupazionale (sussidio per l’alloggio, per il mantenimento dei primi mesi, facilitazione degli adempimenti burocratici).
Va dato merito al governo di voler mettere tanti soldi in un settore dove non si è mai voluto investire un euro. Ad esempio, pur parlando spesso di “modello svedese” dei Cpi, il governo di Matteo Renzi ha attuato una riforma bella sulla carta, ma realizzata con i “fichi secchi”. Proprio perché sono falliti, suggeriamo al ministro di valutare attentamente i tentativi dei precedenti governi per evitare di fare gli stessi errori. Ad esempio, la balcanizzazione delle competenze istituzionali tra Stato e Regioni è sicuramente fra le questioni più spinose.