Sono partiti in 160, ora sono almeno venti volte tanto. Vengono dall’Honduras, ma anche da Guatemala e El Salvador, risalgono il Centroamerica macinando 40 chilometri al giorno e stanno facendo infuriare Donald Trump. La carovana di migranti è partita venerdì 12 ottobre da una stazione degli autobus a San Pedro Sula, nel nord dell’Honduras: ha attraversato lunedì la frontiera con il Guatemala, e giovedì i primi caminantes sono giunti a Tecùn Umàn, cittadina guatemalteca al confine con il Messico. L’obiettivo, dichiarato, è entrare negli Stati Uniti. Si muovono perlopiù a piedi, ma sfruttano ogni passaggio: si ammassano a decine a bordo di camion, auto e furgoncini e salgono persino sui tetti degli autobus. Ci sono neonati allattati dalle mamme, donne incinte e bambini per mano ai genitori. Dormono in rifugi improvvisati o palestre messe a disposizione da associazioni locali, mangiando perlopiù il cibo che viene loro offerto da volontari lungo il cammino.

Il concentramento a Tecùn Umàn – Dopo 500 chilometri di cammino, la marcia ha raggiunto il confine tra Guatemala e Messico. È il primo vero banco di prova per i migranti: mentre dall’Honduras si può passare in Guatemala con un semplice documento d’identità, per entrare in Messico serve il passaporto. E ben pochi dei marciatori ne sono in possesso, riportava nei giorni scorsi l’Associated Press. Dopo aver attraversato il Guatemala passando per la capitale, i primi profughi hanno raggiunto giovedì la città di confine di Tecùn Umàn, nel dipartimento di San Marcos, attraversata dal rio Suchiate che segna il confine con il Messico. Il grosso della carovana, però, è arrivato nella giornata di venerdì 19: i migranti si stanno radunando nel parco centrale della città, da dove poi tenteranno tutti insieme di varcare il confine. Alcuni ci hanno già provato, imbarcandosi su natanti di fortuna per guadare il fiume.

Le autorità del Guatemala hanno messo a punto dieci rifugi provvisori per le persone radunate a Tecùn Umàn; volontari, organizzazioni e istituzioni distribuiscono cibo e generi di prima necessità. Alcuni migranti diretti verso la città a bordo di autobus sono stati fermati e fatti scendere dalla polizia lungo la strada. Trattenuti per il controllo dei documenti, hanno dovuto proseguire il viaggio camminando al bordo della carreggiata. Altri 200, invece, hanno deciso volontariamente di tornare in Honduras, ha comunicato la ministra honduregna per i diritti umani, Karla Cuevas. “Verrà loro assicurato un rientro assistito, le istituzioni li accoglieranno e faranno in modo che vengano riportati nelle loro città in condizioni degne, ha dichiarato”.

Il Messico schiera l’esercito al confine  Il governo messicano, intanto, si prepara a contenere il tentativo, con lo schieramento di centinaia di agenti di polizia al suo confine meridionale. Alla frontiera ci sono anche rappresentanti della Commissione nazionale per i diritti umani, incaricati di verificare il trattamento ricevuto dai migranti che cercheranno di entrare in Messico. Le forze dell’ordine non avranno compiti di “repressione” ma solo di “contenimento”, ha precisato il capo della polizia, Manelich Castilla, in una intervista a Foro TV.  Intervenendo al Parlamento, il ministro degli Interni messicano Alfonso Navarrete ha anticipato di voler spiegare “con tutta la chiarezza possibile” al governo americano “che respingiamo qualsiasi tentativo di pressioni per cambiare le nostri leggi perché non intendiamo farlo”. Il governo di Andrès Lòpez Obrador ha anche annunciato la sua intenzione di chiedere all’Unhcr aiuto per individuare una soluzione “di carattere umanitario” per i migranti in arrivo, precidando che non consentirà l’ingresso dei migranti nel suo paese senza i necessari documenti. Non tutte le persone in arrivo potranno presentare richiesta per lo status di rifugiato, ma il Paese centro americano cercherà di fornire al numero maggiore possibile di loro “protezione umanitaria e il rispetto dei loro diritti umani”, ha precisato Navarrete.

La fuga dei migranti – San Pedro Sula, la città da cui è partito il nucleo originario dei profughi, è la città più violenta dell’Honduras e una delle più pericolose al mondo: un rapporto pubblicato nel 2013 parlava di 169 omicidi ogni 100mila abitanti. Scappano dalla povertà, dal crimine di strada e dalla violenza del narcotraffico: alcuni marciano sventolando le bandiere bianche e blu dello stato centroamericano. È diffusa la rabbia verso il presidente nazionalista Juan Orlando Hernandez, considerato corrotto e incapace di contrastare in modo efficace il crimine organizzato. Hernandez, da parte sua, ha accusato i gruppi politici a lui rivali, e in particolare l’ex presidente Manuel Zelaya, di aver incoraggiato la carovana. “Ci sono settori della politica che vogliono destabilizzare il Paese, ma saremo decisi e non lo permetteremo“, ha dichiarato. Lunedì, a Esquipulas, 10 chilometri oltre il confine guatemalteco, le autorità del Paese hanno arrestato il portavoce del gruppo, il giornalista ed ex parlamentare honduregno Bartolo Fuentes, con l’accusa di non essersi registrato correttamente agli uffici d’immigrazione. La carovana è stata fatta fermare per un paio d’ore, ma alla fine ha potuto proseguire.

Trump: “Fermateli o ritiro gli aiuti” – La marcia, che è stimata coinvolgere 4mila persone, ha attirato giorno dopo giorno l’attenzione dei media di tutto il mondo. Martedì è intervenuto Donald Trump: il presidente Usa teme che la copertura mediatica incoraggi altri centroamericani ad unirsi al percorso, rendendo più difficile la gestione del loro arrivo quando e se raggiungeranno il confine con gli Usa. Inoltre, la minaccia ai confini rappresenta un ottimo argomento di propaganda in vista delle elezioni di medio termine, previste fra tre settimane. Trump ha dedicato alla questione un gran numero di tweet  nelle ultime ore, minacciando di cancellare gli aiuti umanitari ai governi di Guatemala, Honduras e El Salvador se non impediranno ai profughi di proseguire.


“Oltre a interrompere tutti i pagamenti a questi Paesi, che sembrano non avere alcun controllo sulla propria popolazione, devo chiedere in modo deciso al Messico di fermare questo assalto“, ha twittato Trump. “Se non riusciranno a farlo, chiamerò l’esercito e sbarrerò i confini“. E se l’è presa con i democratici, colpevoli a suo dire di opporsi a leggi più severe sull’immigrazione: “È difficile credere che con migliaia di persone a Sud del confine che avanzano senza ostacoli verso il nostro Paese in grandi carovane, i Democratici non vogliano approvare leggi per la protezione delle frontiere. Sarà un importante argomento di campagna elettorale per i Repubblicani!”. Il vicepresidente Mike Pence ha fatto sapere di aver parlato con il presidente del Guatemala Jimmy Morales, incoraggiandolo a scoraggiare i propri connazionali dall’unirsi alla marcia.

Luis Navarreto, honduregno di 32 anni, intervistato dal Washington Post dice di aver saputo della furia di Trump verso la carovana di cui fa parte, ma di non essere spaventato. “Continueremo”, ha detto, “È Dio che decide qui, non Trump. Non abbiamo altra scelta se non di andare avanti”.

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