Timothée Chalamet verso un’altra candidatura all’Oscar? Sarebbe da scommetterci: in Beautiful Boy supera se stesso rispetto a Call Me By Your Name e gareggia con un supremo Steve Carell (anch’egli papabile nominato) in duetti di bravura. L’opera seconda del belga Felix Van Groeningen (Alabama Monroe) è tra i film attesi di giornata alla Festa del Cinema di Roma e s’accompagna a Kursk del danese Thomas Vinterberg, ricostruzione della tragedia dell’omonimo sottomarino russo affondato nel mare di Barents nel 2000 senza sopravvissuti: fu un caso di omicidio di Stato per il noto e vergognoso divieto dei burocrati di Putin a chiedere aiuto ai Paesi stranieri meglio equipaggiati nei soccorsi marini.
Due opere molto distanti fra loro ma accumunate dall’ispirazione a storie vere nonché dalla premiere mondiale tenuta al Toronto Film Festival lo scorso settembre, l’eterno complice-competitor della Mostra veneziana. Entrambi i drammi, a modo loro, sono rivisitazioni di tragedie umane e si rifanno ai libri che le hanno analizzate, sia come diretti testimoni – è il caso di David e Nic Sheff, protagonisti della tossicodipendenza del figlio al centro di Beautiful Boy – sia come intermediari – è il caso del giornalista Robert Moore che raccolse la testimonianza del commodoro britannico David Russell che assistette al dramma di quei marinai.
Ospite alla Festa, il cineasta cinephile danese già teorico del manifesto Dogma 95 non ha avuto dubbi nel prestarsi alla regia di Kursk, convinto di poter contribuire a riportare un poco di giustizia a un caso che indignò l’opinione pubblica ma anche attratto dai temi ricorrenti nel suo cinema. “La famiglia, l’ingiustizia, un uomo contro la burocrazia e l’indignazione politica. Sono argomenti per me fondativi, ma nel caso di Kursk ho evitato di inserire la figura di Putin per due motivi: da una parte non volevo distrarre lo spettatore dalla tragedia umana, dall’altra non ci sono evidenze precise sulla provenienza degli ordini dati ai militari russi”. Rispetto alle opere che compongono la filmografia del regista del sublime Festen, Kursk non offre alcuna elaborazione linguistica attenendosi a una regia minimale e rigorosa, (“per rispetto ai fatti accaduti”) benché sostenuta da un colosso produttivo paneuropeo come Luc Besson capace di portarvi un cast che va da Matthias Schoenaerts, Léa Seydoux e Colin Firth: tutti (discutibilmente) si esprimono in inglese anche se “figurano” russi e sono chiaramente attori di nazionalità diverse.
Purtroppo nessuno dei protagonisti dietro o davanti alla macchina da presa ha invece accompagnato Beautiful Boy, che si diceva essere la trasposizione cinematografica dei due romanzi che testimoniano la tossicodipendenza di Nic Sheff, allora 18enne e dipendente dalla devastante metanfetamina in cristalli; il dittico letterario costituisce di fatto un controcampo della vicenda vissuta sia dal punto di vista del padre David, che dello stesso figlio Nic. Più che un’opera classica sull’assunzione di droga e i suoi effetti, Beautiful Boy lavora sui temi del rapporto padre-figlio e sul sentimento di impotenza del primo nei confronti della dipendenza del secondo. Dramma denso di flashback e montaggi in parallelo che rivela una scrittura e regia di buon livello, è soprattutto notevole per i due interpreti – Carell nei panni di David e Chalamet in quelli di Nic – capaci di trasmettere l’umanissima vulnerabilità nei confronti di un dramma che tuttora affligge famiglie americane (e non solo) di ogni estrazione sociale e culturale. Entrambi i film usciranno prossimamente nelle sale italiane.