Partiti in cerca di un lavoro. Gli emigranti esistono anche in Italia. Vanno verso il nord del Paese, verso l’Europa, verso l’America. Lasciano la famiglia come a inizio Novecento, con una ideale “valigia di cartone”. Ecco alcune delle loro storie raccontate a valigiadicartone.ilfatto@gmail.com

Ho appena rinnovato l’ennesimo visto di lavoro per gli Stati Uniti. Il terzo dal 2006. In tutti questi anni ho vissuto in California, a Los Angeles. Famosa per il sole, le palme, il mare, i surfisti, le stelle di Hollywood. Insomma tutti gli stereotipi del sogno americano che abbiamo sempre visto in televisione e desiderato.

Dagli americani ho imparato molto. Una lingua nuova, una puntualità ossessiva, un altro approccio al lavoro, una diversa considerazione della legge e del denaro. E mi sono sempre sentito molto fortunato: i miei genitori, spostandosi inizialmente lì per lavoro, mi hanno dato una grande possibilità portandomi con loro.

Essere migranti ha il suo peso: può essere formativo, interessante, stimolante fino a che non realizzi che stai mettendo le fondamenta di una vita futura in un posto che tutto sommato non ti appartiene. O almeno per me è stato così. Ho finito gli studi lì poi ho iniziato a lavorare come fotografo e videomaker. Dagli Stati Uniti ho collaborato con tantissimi giornali, riviste e tv italiane e non. Ho fatto lavori interessanti, ho viaggiato in tanti posti, eppure non mi sono mai sentito del tutto felice.

Qualcosa mancava sempre. Non era la pasta al dente, ne il caffè ristretto, il prosciutto tagliato fino o il parcheggio in doppia fila. Non erano le partite di calcio o gli aperitivi nelle piazze, non erano neanche gli ospedali pubblici o le passeggiate in centro. Mancava il senso di appartenenza, capivo sempre di più che avevano una maniera diversa di affrontare la vita, le amicizie, gli amori. Così, piano piano, ho iniziato a cercarmi le persone che mi assomigliano di più, scoprendo così gli italiani all’estero: una categoria quasi da girone dantesco. Ti frequenti con i tuoi simili dove parli la tua lingua, perché ti ci trovi bene, ci ragioni meglio, mangi le stesse cose, hai gli stessi luoghi comuni. Così come fanno tanti altri migranti negli Stati Uniti. Alla fine ti trovi a cercare di vivere la vita che vivresti in Italia all’estero. Una volta un amico romeno a Roma mi disse: “Io sono vent’anni che vivo e lavoro qui, ma per tutti resto sempre il romeno.”

Così dopo 12 anni ho iniziato a tornare per periodi molto più lunghi in Italia. Cerco di lavorare qui, di capire che possibilità di lavoro ci siano. È difficile e a volte guardando avanti c’è da mettersi le mani nei capelli. Ma nell’era della mobilità globale la vera sfida è quella di tornare a casa. Ho appena rinnovato l’ennesimo visto di lavoro per gli Stati Uniti. Spero di doverlo usare il meno possibile.

Gianfilippo De Rossi

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