Il motto potrebbe essere “datemi un’ostrica e ripulirò i mari del mondo”, perché sarebbe lecito pensare in grande visto che con il progetto “The Billion Oysters” si sta cercando di ripulire una delle baie più inquinate del mondo, ovvero la rada e il porto di New York. La notizia sta spopolando sul web in maniera virale, ma in realtà non è tutto oro quello che luccica ed è necessario un approfondimento per comprendere se si sta facendo bene oppure no.
Partiamo dalla cronaca. “The Billion Oysters” è stato lanciato da una scuola di scienze marittime di New York che è già riuscita a piazzare sui fondali della foce del fiume Hudson ben 28 milioni di bivalvi e conta di arrivare a un miliardo nel 2035 coprendo una estensione di ben 40 ettari. Il progetto è iniziato allevando le ostriche in un vivaio della scuola, usando come “casa” per le larve i gusci di ostrica ritirati dai ristoranti. Quando i bivalvi sono poi cresciuti ed arrivati ad una taglia utile sono stati portati in mare dove in breve tempo hanno formato vere e proprie scogliere sottomarine.
“Siamo riusciti a misurare – ha riferito Pete Malinowski ideatore del Billion Oyster Project – un significativo miglioramento nella qualità dell’acqua e vedere un impatto immediato sulla biodiversità ovunque abbiamo piazzato una nuova scogliera”.
“Le ostriche – continua Malinowski – filtrano l’acqua sporca e trattengono le particelle inquinanti. Ogni bivalve ripulisce da 110 a 190 litri al giorno. Un miliardo di bivalvi potrebbe filtrare tutta l’acqua del porto di New York in tre giorni! Le ostriche oltre a ripulire l’acqua, offrono un habitat sicuro a molti animali marini creando un vero e proprio reef il quale alimenta la biodiversità. Inoltre, le scogliere di bivalvi rallentano la velocità delle onde degli uragani, difendendo la città”.
Sembrerebbe una soluzione semplice e geniale, potremmo definirla un “uovo di Colombo”, ma come si diceva all’inizio è necessario avere maggiori informazioni. “Gli inquinanti filtrati dalle ostriche – riferisce Roberto Carlucci del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari – non spariscono, ma rimangono nei mitili che dovrebbero essere trattati o distrutti per evitare che le sostanze filtrate entrino nella catena alimentare. Non penso solo all’uomo che ne al vertice, ma ad una serie di creature marine che si cibano di ostriche e che potrebbero rimanere contaminate”.
“C’è di più – avverte Carlucci – nelle ostriche avremmo una concentrazione più elevata di contaminanti, certamente superiori a quella presente nelle acque marine. I sistemi di biorimediazione sono molto validi e non ci sono solo le ostriche, ma tante altre creature del mare, è però, necessario un monitoraggio e una gestione costante. Diversamente se concentri i contaminanti in un organismo o gruppi di organismi hai solo spostato il problema”.
Attenzione, dunque, quella delle ostriche non è proprio una fake news, ma andava verificata e spiegata prima di lanciarla, purtroppo oggi gli organi di informazione e le agenzie di stampa schiacciati dai tempi rapidissimi non fanno più le necessarie verifiche. Di certo io le “ostriche spazzino” non le mangerei.