In un divertente articolo su “La Lettura” del Corriere della SeraDonatella Di Cesare, studiosa di Heidegger e dell’ebraismo, mi dedica un’intera pagina. La ringrazio di cuore per la generosa considerazione (che di solito si tributa a un Heidegger o a un Gadamer), ancorché il suo articolo sia ampiamente denigratorio e degno, purtroppo, di un nervosissimo odiatore (detto hater) della rete più che di un composto studioso quale mi dicono che ella sia. Ma tant’è.

Vorrei primieramente rassicurare la signora Di Cesare, che mi accusa disinvoltamente e con lampante livore di essere di fatto un “non proprio” neonazista, parafascista, sovranista, omofobo e antiabortista (spero di non averne dimenticata nessuna e, se l’ho fatto, chiedo venia). La rassicuro, cara signora Di Cesare, e disambiguo la situazione: lo scrivente non è neonazista né fascista, né sovranista né omofobo. Sicuramente pensa altrimenti rispetto al pensiero unico dominante e, dunque, anche rispetto a lei. Sono un seguace di Marx e Gramsci, non di Hitler e Priebke (per inciso, ritengo vi sia la grave mancanza di un capitolo su Marx nel libro della Di Cesare su Heidegger e gli ebrei). Di Carlo Marx e Antonio Gramsci – che, come molta parte dell’intellighenzia del quadrante sinistro, la signora Di Cesare assume come ideali numi tutelari, salvo poi non aderire in nulla al loro paradigma di pensiero dialettico, hegeliano e anticapitalista – condivido appieno la lotta di classe, l’universalismo (l’unità della razza umana), la ricerca operosa di una società pienamente democratica ed egualitaria, tra individui egualmente liberi, affrancata da ogni discriminazione, comprese quelle di classe su cui lei e il pensiero unico non dite quasi mai nulla.

E dunque? Quale nazismo, signora Di Cesare? Spero si renda conto, da fine studiosa quale mi dicono lei sia, della portata delle sue tesi denigratorie, la cui funzione è trasformare il suo interlocutore in un mostro intoccabile, sì da non doversi dialogicamente confrontare con lui e magari anche da fare in modo che gli sia negato ogni spazio di libera espressione. Non è quello il telos del suo livoroso articolo, signora Di Cesare? Metodo poco liberale, davvero, e forse più vicino a quel totalitarismo nero da cui pure vorrebbe metterci in guardia.

Capisco che la pratica del rovesciare la scacchiera e del procedere per proscrizioni, insulti e diffamazioni sia prassi ormai consolidata nella società dello spettacolo che lei tanto diffama (e a cui pure, talvolta, non disdegna di prendere parte, salvo errore: m’era parso più volte di intravvederla su Rai3 la mattina). Capisco, ancora, che quando sul placido argomentare socratico (logon didonai) prevalgono l’insulto, la diffamazione e l’attacco personale, ciò è la prova della condizione di debolezza del nostro interlocutore. Capisco ancora che la neolingua ci ha abituati al fatto che in fondo, le comode categorie preimpostate (fascista, omofobo, xenofobo, ecc.) ci dispensano dalla fatica del concetto e dallo sforzo di un confronto serio sui temi. Capisco ancora – e ne sono lusingato – che questo metodo inquisitoriale è lo stesso che si trova, ad esempio, nei suoi studi su Heidegger e l’antisemitismo. Trascuro qui, per carità di patria, l’infamante accusa di negazionismo al mio compianto maestro Preve: accusa che è totalmente falsa e, oltretutto, di pessimo gusto, essendo Costanzo da tempo passato al mondo dei più, da cui non gli è dato di replicare.

Capisco tutto questo, ma mi permetto socraticamente di farle notare, con umiltà e pacatezza, che spesse volte l’insulto, la calunnia e la diffamazione offendono chi li pronunzia ben più di colui al quale sono rivolti. Temo sia il suo caso. Ce ne faremo tutti una ragione, ad ogni modo. A sollevare vanamente macigni si rischia solo che, poi, ci ricadano in testa.

Lasci che le spieghi celermente perché. In primis, il suo articolo, rigurgitante di rancura in ogni rigo, avvalora – e gliene sono grato – le tesi del mio Pensare altrimenti circa la neolingua e la diffamazione permanente cui oggi va incontro ogni pensiero non allineato. In effetti, è così e lei ha suffragato ciò. Anziché esaminare le mie categorie (piccole o grandi che siano) e procedere con la docile forza del logos, ha preferito la popolosa via della scomposta diffamazione mediante reductio ad absurdum: dandomi del “non proprio” neonazi, del “non proprio” fascista, dell’omofobo (senza “non proprio” stavolta). In tal guisa, lei si sente dispensata dalla fatica dell’argomentare e io sono silenziato come un nazista, omofobo, ecc. Addirittura la signora Di Cesare si avventura a sostenere che io sono antisemita! Perché critico le politiche estere di Israele? Perché critico l’operato del turbofinanziere Soros? Anche in questo caso, reductio ad absurdum che dice assai più sul criticante che sul criticato.

Il fatto che io critichi spietatamente l’odierno totalitarismo glamour del capitale non vuol dire – come invece la signora Di Cesare sembra sostenere – che il sottoscritto approvi i regimi del passato, che anzi critica con eguale forza. Eppure, la critica del passato può diventare un alibi per accettare il presente. Forse è il caso della signora Di Cesare, i cui testi traboccano di condivisibilissime critiche all’antisemitismo nazista e poco o nulla ci dicono del classismo come discriminazione coessenziale alla società di libero mercato.

La tesi centrale di Pensare altrimenti era che la neolingua dei padroni del discorso diffama aprioricamente e senza discussione critica il pensiero non affine all’ordine della classe dominante. Lo fa affidandosi al ceto intellettuale, composto da tanti De Cesare che, senza argomentare, solo diffamano e ostracizzano. Et voilà, la Di Cesare ora avvalora la tesi di Pensare altrimenti. Il nuovo ordine simbolico di completamento del nuovo ordine mondiale classista diffama come fascista chi non aderisca ai moduli della società liberale di mercato deregolamentato; come omofobo chi non aderisca ai moduli della società post-familiare di atomi unisex consumatori (per incidens, il mio Il nuovo ordine erotico di questo parla, senza mai attaccare – cara signora Di Cesare – gli omosessuali e anzi riconoscendo la piena naturalezza dell’omosessualità); come antisemita chi critichi le politiche di Israele e il suo vile massacro di palestinesi; come complottista chi non aderisca alla narrazione propagata dai padroni del discorso, narrazione che sempre legittima l’interesse della classe dominante e sempre nuoce a quello della classe dominata; come populista chi aderisca al punto di vista della massa sofferente nazionale-popolare e non a quello della “aristocrazia finanziaria” (categoria, cara Di Cesare, che mutuo da quel complottista di Carlo Marx, così complottista da pensare che vi fossero dei dominanti e che essi facessero ideologicamente passare per interesse universale il loro interesse particolare).

Rispetto a queste categorie, lei, signora Di Cesare, come si colloca? Vede, a differenza sua, a me non interessa diffamare e ostracizzare. Mi piacerebbe invece, se vorrà, dialogare, come la filosofia richiede. E, ove necessario, darle ragione e, per così dire, dare a Di Cesare quel che è di Di Cesare: con il Gorgia di Platone, appartengo anch’io a quel genere di uomini che ama essere confutato ancor più che confutare.

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