La Gdf doveva entrare nel palazzo di via Napoleone III - occupato nel 2003 - e valutare un eventuale danno erariale. La minaccia del militante, forse rivolta ai cronisti e non ai militari, è stata zittita dai "grandi" del partito. E la presenza delle telecamere potrebbe aver dato la possibilità ai neofascisti di ottenere il rinvio del blitz
Il “bagno di sangue” minacciato improvvidamente da un giovanissimo (e sfacciato) occupante del palazzo di via Napoleone III, di fronte a Digos e finanzieri in visita “ufficiale”, potrebbe trasformarsi in un serio problema per CasaPound. Tutto ciò nonostante i vertici della “tartaruga” abbiano cercato di rimediare con sorrisi e strette di “mano”. Il movimento neo-fascista, infatti, da 13 anni occupa abusivamente un edificio nei pressi della stazione Termini di Roma, nel quale oggi oltre alla sede nazionale vi sono anche alcune occupazioni abitative di persone “amiche”, una trentina in totale.
Ieri mattina l’episodio clou. Su ordine della procura regionale della Corte dei Conti, la Guardia di Finanza bussa alla porta di CasaPound per effettuare un’ispezione che avrebbe dovuto permettere la visione dei locali e la valutazione puntuale del danno erariale sul quale stanno lavorando i magistrati contabili e che rischia di andare pesare – fra l’altro – anche sulle casse del Comune di Roma. Mentre Davide Di Stefano e gli altri provano a parlare in maniera cordiale con le forze dell’ordine, ma un certo punto monta il nervosismo fra gli occupanti, che vedono di cattivo occhio la presenza di fotografi e telecamere locali raggiunti da una “soffiata” del blitz e arrivati sul posto insieme ai finanzieri. “Se entrate sarà un bagno di sangue”, avrebbe detto uno dei ragazzini zittito subito dai “grandi”; una frase riportata, va detto, che potrebbe essere stata anche “se entrano sarà un bagno di sangue”, riferito ai cronisti. Il che non cambierebbe la gravità dell’affermazione, sia chiaro. E proprio la presenza delle telecamere, paradossalmente, potrebbe aver dato la possibilità al partito neofascista di ottenere dalla Guardia di Finanza il rinvio del blitz. “Quando ci siamo resi conti – ha detto Gianluca Iannone, presidente di Cpi – che non era possibile garantire minime condizioni di dignità per i residenti vista l’inopportuna presenza di una folla di telecamere, ci siamo limitati a chiedere che si rinviasse il controllo ad altra data”. Un rinvio inevitabile, per la rabbia dei vertici della Corte dei Conti laziale che – affermano fonti di viale Mazzini – sarebbero rimasti assai indispettiti per la “figuraccia” e per il ritardo nelle operazioni già di loro elefantiache. “Non abbiamo nulla da nascondere – insiste Iannone – il movimento non ha recato danni alle casse dello Stato”.
Quello che resta, però, sono quella frase riportata sulla stampa locale e le polemiche che ne sono seguite. Le intemperanze dei “vicini di casa” della Tartaruga non sono piaciute ai magistrati. L’edificio di via Napoleone III è occupato dal 2003. L’ex sindaco Gianni Alemanno stava per regolarizzare la posizione di CasaPound fra il 2010 e il 2011 attraverso una concessione, salvo poi rinunciarvi in seguito alle fortissime polemiche sollevatesi. Paradossalmente, la mancata formalizzazione ha consentito al movimento di estrema destra di non entrare nel vortice dell’inchiesta Affittopoli e di non fare la fine di altre situazioni borderline, individuate dalla Corte dei Conti, come la sede Pd di via dei Giubbonari e quella di Fdi di Colle Oppio, prima indagate e poi sgomberate negli anni scorsi. Tuttavia, il palazzo è nella lista dei 73 edifici da sgomberare stilata dall’ex commissario prefettizio Francesco Paolo Tronca, ma non nella short-list dei 16 a cui la Prefettura di Roma è chiamata a dare precedenza. Ma le priorità, si sa, possono sempre cambiare.