di Ilaria Agostini

Come i fiorentini sanno, il Piano Strutturale di Firenze – un banchetto infrastrutturalista dove è il privato a scegliere fior da fiore tra le molteplici leccornie – prevedeva (e prevede) una gran copia di parcheggi interrati in centro città. Migliaia di metri cubi di cemento, di betoniere in transito, di automobili in centro storico; milioni di euro.

Un bando da poco pubblicato sul sito del Comune per la costruzione del parcheggio di Piazza Tasso conferma le scelte della paraurbanistica renziana imperniata sul dogma infrastrutturalistico: per garantire la massima appetibilità, la città storica deve essere a portata di automobile. Un modo per riempire sempre più stanze in hotel, resort e b&b.

Ma, oltre che all’industria del turismo globalizzato e sregolato, i parcheggi interrati fanno bene all’immobiliare. È un meccanismo consolidato: il semplice annuncio dell’avvio della costruzione di un parcheggio sotterraneo – qualunque sia l’esito della vicenda – rinvigorisce la rendita. Grazie alla semplice promessa di un comodo parcheggio sotto casa (anzi, sotto piazza), pied-à-terre e bilocali ad uso turistico vanno a ruba, il prezzo al metro quadro degli immobili nei pressi dell’autosilo impenna, gli affitti aumentano, gli sfratti fioccano. La selezione sociale procede alla grande.

Vediamo i punti salienti del nuovo sventramento della città storica.

Il tenore è quello classico dell’urbanistica neocapitalista, dove il Comune propone e il privato dispone. Sarà infatti l’aggiudicatario (imprese edili, società di costruzione di parcheggi o società cooperative di proprietari immobiliari) a scegliere dove, come e quanto sventrare, poiché l’area di localizzazione del parcheggio riguarda l’intera superficie della piazza. Fatti salvi gli alberi e il giardino pubblico.

Secondo il bando, il parcheggio sarà “pertinenziale”, ad uso privato. I posti auto diverranno di pertinenza dell’unità immobiliare – sia residenziale (70%) che non residenziale (30%) –, purché situata entro un raggio di 500 metri dall’area di intervento. Merita qui ricordare la vicenda dei parcheggi pertinenziali romani: a box invenduti, rispondendo alle pressioni dei costruttori, il Comune di Roma concesse prontamente la deroga che ne estendeva l’acquisibilità, prima allargando il raggio da 500 a 1.000 metri, e poi a chiunque. Alcuni posti auto vennero affittati, altri messi liberamente sul mercato, altri dati a ore (ne parla Francesco Erbani in Roma, il tramonto della città pubblica, Laterza, 2013).

È evidente che, senza un piano della mobilità e della sosta, senza alcuna aspirazione diffusa tra i residenti ad investire in uno stallo automobilistico, insomma senza alcuna necessità accertata e documentata dalla pubblica amministrazione, il parcheggio nel sottosuolo pubblico si presenta come pura occasione speculativa.

Al privato che si aggiudica l’affare è concesso il diritto di superficie novantennale, a titolo oneroso (circa 4.000 euro a posto auto, per 90 anni). A suo carico anche la sistemazione del soprasuolo. Il soprasuolo, cioè la piazza. La piazza pubblica che – ridotta a solaio laterocementizio, a sfiatatoio, a corsie carrabili in trincea – sarà, per almeno novant’anni, privata.

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