Conoscere e vedere cosa accade negli allevamenti ittici è importante, perché quando le persone si trovano davanti un piatto a base di pesce pensano ancora a pescherecci e reti in mezzo al mare, senza sapere che ormai la maggioranza del pesce in commercio viene invece da allevamenti. Gli allevamenti di pesci hanno le stesse logiche e problematiche degli allevamenti intensivi di maiali, galline e polli, ma una grande differenza: non esiste nessuna legge europea a tutela di questi animali, ultimi tra gli ultimi.

L’itticoltura è di fatto il settore zootecnico con la più rapida crescita: basti pensare che nel 1974 provvedeva solo al 7% del fabbisogno totale di pescato, passando al 39% del 2004. Oggi in Europa il pesce da allevamento corrisponde al 51% di quello immesso nel mercato, e a breve raggiungerà il 60%.

A questo cambiamento si è arrivati per due motivi. Da una parte un aumento di consumi di pesce ha portato le tonnellate di pescato a livello mondiale da 18 milioni nel 1950 a 104 milioni nel 2015. E di conseguenza la pesca intensiva ha sfruttato in modo troppo profondo i mari, impoverendoli di vita tanto da portare numerose specie marine sull’orlo dell’estinzione. Nel 2014 la Commissione Europea ha dichiarato infatti che “il 96% delle specie di fondale mediterranee è soggetto a uno sfruttamento eccessivo”.

La risposta a questo grave problema non è stata però invitare a una riduzione del consumo di pesce, ma costruire ampie vasche in terra o enormi gabbie di rete in mare, in cui far riprodurre e crescere i pesci. Si tratta in tutto e per tutto di allevamenti intensivi e in ognuna di queste gabbie possono vivere da cento a 300mila pesci, in situazioni che non prevedono alcun interesse per il loro benessere. Per risolvere un problema prettamente ecologico se ne è quindi generato un secondo, di carattere etico.

Ma come vengono allevati i pesci? Per mostrarlo abbiamo realizzato un’indagine, la prima in Europa, all’interno degli allevamenti italiani delle tre specie più diffuse: orata, branzino e trota. Il video che abbiamo girato tra 2017 e 2018 nel centro e nord Italia ha portato alla luce numerose criticità ed è stato diffuso da alcuni dei più importanti quotidiani europei.

Il sovraffollamento nelle vasche è quasi una norma e in più allevamenti abbiamo anche rilevato animali che vivono in acque torbide e sporche. Ma i problemi più gravi arrivano nel momento della manipolazione, del trasporto e dell’uccisione di questi animali. Se per gli animali “da carne” ci sono delle minime norme in loro tutela, come lo stordimento obbligatorio prima dell’uccisione per esempio, i pesci si lasciano semplicemente agonizzare e morire di asfissia. Accade sui pescherecci e così accade negli allevamenti, dove vengono tolti dall’acqua con grandi reti e messi spesso a “stordirsi” sul ghiaccio. Una pratica terribile che anche un recente report dell’Unione europea ha definito inadatta e fonte di sofferenza, peccato che non sia stato emanato alcun regolamento al riguardo, lasciando la soluzione alla buona volontà delle aziende.

Abbiamo inoltre filmato pesci che vengono storditi a bastonate, altri ancora vivi legati con fili attraverso le branchie o infilzati con etichette, lasciati asfissiare, oppure sparati a tutta velocità da tubi dentro ai camion per il trasporto. Insomma, se in genere gli animali considerati cibo vengono trattati quasi come oggetti, questo vale ancor di più per i pesci. Loro non hanno nemmeno la possibilità di urlare, di farsi sentire. Soffrono in silenzio.

Tutto questo accade anche perché è opinione diffusa che i pesci non siano capaci di provare dolore o non siano intelligenti, nonostante ormai la scienza abbia ampiamente dimostrato le capacità sensoriali e cognitive di questi animali, oltre al fatto che hanno un’ottima memoria, sanno utilizzare oggetti e costruiscono complessi rapporti sociali e relazioni. Forse siamo semplicemente noi che non riusciamo a capire il loro linguaggio e li sentiamo distanti, non è certo una loro mancanza.

Ma i pesci non sono solo poco considerati, sono gli animali numericamente più uccisi e quelli con meno tutela. A tal proposito con questa indagine vogliamo da una parte sensibilizzare il cittadino e invitarlo a spostare i propri consumi, ma con una petizione diretta ai supermercati e la grande distribuzione italiana vogliamo iniziare a porre dei paletti sul trattamento che subiscono questi animali e iniziare a farli uscire dal limbo di totale disinteresse in cui si trovano adesso. Ci sembra giunto il momento di questo minimo ma fondamentale passo.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Riuscirà Di Maio a salvare 20 miliardi che rischiamo di buttare via?

next
Articolo Successivo

Plastica, dal Parlamento Ue ok a relazione sui prodotti “usa e getta”: stop a posate, cotton fioc e cannucce entro il 2021

next