L’inchiesta si allarga ancora e continua a risalire la scala gerarchica dei carabinieri. Il presunto insabbiamento sulla morte di Stefano Cucchi, secondo la procura di Roma, era arrivato ai vertici dell’Arma nella Capitale. Almeno fino all’allora numero due, il tenente colonnello Francesco Cavallo, capo ufficio comando del Gruppo carabinieri di Roma. Con lui, si apprende, sono indagati almeno altri cinque militari – compreso il maresciallo Roberto Mandolini, già comandante stazione Appia e imputato nel processo in corso davanti alla prima Corte d’Assise – e l’avvocato Gabriele Giuseppe Di Sano.
Tutti sono accusati di falso ideologico. Secondo quanto emerge dalle carte e in particolare da una mail allegata agli atti, sarebbe stato Cavallo a suggerire al maggiore Luciano Soligo e a Massimiliano Colombo, comandante della stazione Tor Sapienza, di effettuare modifiche all’annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi, arrivato dopo l’arresto a Tor Sapienza dalla caserma Casilina nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009.
Colombo era stato interrogato la scorsa settimana per 7 ore dal pm Giovanni Musarò dopo la perquisizione del suo ufficio e l’iscrizione nel registro degli indagati. Negli scorsi giorni, la scala gerarchica dei carabinieri aveva ‘toccato’ per la prima volta un ufficiale, con il coinvolgimento del maggiore Soligo, a capo della compagnia Talenti Montesacro. È indagato anche Francesco Di Sano, il carabiniere che ad aprile raccontò nel corso di un’udienza che gli era stato chiesto di cambiare l’annotazione.
“Quello che (Di Sano, ndr) ha detto nell’udienza del 17 aprile è vero: la modifica dell’annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi non fu frutto di una decisione estemporanea e autonoma di un militare ma fu l’esecuzione di un ordine veicolato dal comando di stazione, che a sua volta recepì un ordine dal comandante di Compagnia, che a sua volta aveva recepito un comando dal gruppo”, aveva spiegato in aula questa mattina il pm Musarò motivando la decisione di depositare nuovi atti istruttori. “Solo così – ha affermato – si può capire il clima che si respirava in quei giorni e perché quella annotazione del 22 ottobre sia stata fatta sparire senza che nessuno ne parlasse per nove anni”, ha aggiunto il rappresentante della accusa nel processo che vede indagati 3 carabinieri per omicidio preterintenzionale.
Tra loro, Francesco Tedesco, il militare brindisino che ha permesso la svolta nel caso. Tedesco ha raccontato negli scorsi mesi in diversi interrogatori che il geometra romano, arrestato per spaccio il 15 ottobre 2009 e morto sei giorni dopo all’ospedale Pertini, era stato picchiato dai colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro nel corso del fotosegnalamento. Cucchi sarebbe stato colpito da schiaffi e da almeno un calcio all’altezza anale. Il carabiniere ha aggiunto anche segnalò tutto, ma la sua annotazione scomparve.