Claire Foy, Viggo Mortensen, Sigourney Weaver, John C. Reilly & Steve Coogan: Hollwyood sbarca alla Festa di Roma e lo fa tutta in un solo giorno, o quasi. Scorsese a parte che all’Auditorium Parco della Musica è ormai di casa e lo si può incontrare – anche oggi – passeggiando per i corridoi.
Tutti attesi negli svariati cromatismi di popolarità che li caratterizzano, attrici e attori hanno affollato il red carpet capitolino in orari diversi, accompagnando film o incontri per tutti i gusti. Fiore all’occhiello di giornata è stata – comunque – la premiere mondiale del nuovo capitolo della saga Millennium: The Girl in the Spider’s Web (Quello che non uccide) con cast e regista (Fede Alvarez) a seguito. Il colpaccio di Antonio Monda (non era facile avere la prima wordwide di un blockbuster di questa portata, ma Sony Pictures l’ha accontentato…) ha fatto sì che il film abbia la sua uscita italiana (31/10) antecedente a quella americana (9/11) e tanta stampa internazionale accorsa appositamente nella Capitale.
Al centro dei riflettori nei panni di una novella Lisbeth Salander è Claire Foy, passata con disinvoltura dalla corona di Sua Maestà ai tatuaggi dell’eroina di Stieg Larsson. D’altra parte ad accomunare Elizabeth e Lisbeth non è solo l’assonanza nominale: “Sono due donne dalle emozioni inespresse a causa del loro passato che, per quanto assai distante in ogni senso, le ha portate a una freddezza comportamentale, almeno in pubblico”, dichiara la talentuosa attrice britannica accolta da vera diva ma dall’atteggiamento di assoluto low profile. Difficile per lei entrare nella “tuta” di un personaggio già interpretato (prima da Noomi Rapace e poi da Rooney Mara) e perfettamente noto al pubblico, ma per Foy è stato chiaro fin da subito, “serviva usare l’istinto e metterci dentro qualcosa di personale, un meccanismo che d’altra parte utilizzo per ogni personaggio ma a mio parere qui ancora più necessario”. La sua Lisbeth, quindi, continuando la tradizione della minuta ragazza tatuata e di nero vestita, la hacker geniale vendicatrice delle donne abusate, mette in mostra una “morbidezza” diversa, una fragilità più esibita.
Sequel dell’adattamento del 2011 (la versione americana di Uomini che odiano le donne), il film racconta Lisbeth ab origine dei suoi problemi famigliari, con un padre violento e una sorellina ambigua. Ed è proprio la bionda Camille a diventare la sua nemesi, un alterego uguale e opposto; al suo fianco, fedele e “normale” a differenza degli altri personaggi tutti sopra le righe, il giornalista Mikael Blomkvist (interpretato dallo svedese Gudnason, per intenderci il Borg di Borg vs McEnroe). Il noir dalle gelide e livide tinte di una Stoccolma invernale prende la sua forma nei tormenti di Lisbeth quando questa viene incaricata di una missione che andrà a coinvolgerla negli affetti più personali. Peccato l’esito del lungometraggio di Alvarez sia la modesta copia dei precedenti, assai distante dalla qualità di cui l’aveva ammantato David Fincher, ad esempio. Su tutti si stacca comunque il carisma di Claire Foy, capace col suo talento di restare piacevolmente impressa nella memoria, anche nel latex “salanderiano”.
Forse Foy sarà apprezzata anche dalla collega che l’ha seguita in conferenza stampa, la “signora della fantascienza” per eccellenza, ovvero Sigourney Weaver, luminosa, bellissima e quasi “bionica” nei suoi 69 anni non dimostrati. Invitata alla Festa per un Incontro ravvicinato, non ha mancato di sferzare una lancia a favore del movimento #metoo e di tutto quanto sta concorrendo a “rivoluzionare l’industria dello spettacolo – e non solo – dal punto di vista dell’inclusività femminile. E anche Viggo Mortensen ha incantato la platea attraverso il suo autista italo-americano protagonista di Green Book di Peter Farrelly, film vincitore del premio del pubblico al Toronto Film Festival e alla Festa romana in prima nazionale. L’opera si ispira a una storia vera, di quelle ancorate ai valori importanti. “Quei valori di cui abbiamo parecchio bisogno di questi tempi” spiega l’attore norvegese, notoriamente filantropo e coltissimo, in perfetto italiano. “Sono quelle storie che ci aiutano a diventare meno ignoranti di noi stessi. D’altra parte non dimentichiamoci che l’umanità è fatta di piccoli gesti nascosti e quotidiani”.
La storia d’amicizia al centro di Green Book fa pendant con quella – assai più iconica e popolare – intercorsa fra la più famosa coppia comica del cinema di tutti i tempi, Stanlio & Ollio. Il film eponimo è diretto dallo scozzese Jon S. Baird ed interpretato con talento dai mimetici Steve Coogan (Stanlio) e John C. Reilly (Ollio). Impresa complessa e delicata, quella di portare sul big screen un omaggio ai due comici immortali ha comportato un lavoro di ricerca corposo ma soprattutto un atteggiamento umile ed insieme coraggioso. “Avevo paura, lo confesso, ma Stanlio & Ollio sono sempre stati i miei idoli, sono onorato di essere stato il primo regista a cimentarsi in un biopic su di loro”. In realtà il dramedy Stan & Ollie (in italiano Stanlio & Ollio, nelle sale prossimamente), scritto e diretto con compostezza e delicatezza, non è un vero biopic, ma è il racconto dell’epilogo della loro carriera, coinciso con il tour teatrale britannico del 1953 che ha sancito la loro magnifica e fraterna amicizia. “Jon voleva ingrassassi veramente per diventare Ollio – scherza John C Reilly – ma mi sono rifiutato dopo la fatica di perdere 20 kg negli ultimi anni.. e allora ho dato il benvenuto alle protesi! Eppure – continua il magnifico attore americano – benché truccato ho sentito sulla mia pelle il carisma romantico di quell’incredibile ciccione, capace di fare ridere generazioni di persone nel mondo sempre affiancato dal genio di Stan. Sono grato per questo ruolo indimenticabile”.