Ottocento militari schierati al confine in attesa della carovana. Donald Trump passa dalle parole ai fatti e dà il via alla prima misura per fronteggiare i 7mila migranti in cammino dall’Honduras verso gli Stati Uniti. Ormai il presidente dedica ai caminantes almeno un tweet al giorno, e il contenuto è sempre molto simile. “I Democratici hanno fatto apposta leggi per rendere difficile fermare le persone al confine”, ha scritto venerdì, “ma io impiegherò l’esercito per questa emergenza nazionale. Li fermeremo!”.
Brandon Judd of the National Border Patrol Council is right when he says on @foxandfriends that the Democrat inspired laws make it tough for us to stop people at the Border. MUST BE CHANDED, but I am bringing out the military for this National Emergency. They will be stopped!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 25 ottobre 2018
Fonti del Pentagono riferiscono che il segretario alla Difesa James Mattis sta per firmare un decreto con cui invia alla frontiera del Texas almeno 800 uomini armati a partire dalla prossima settimana. Qualche giorno fa Trump, durante un comizio in Arizona, aveva messo in guardia dai “soggetti pericolosi” che sarebbero presenti nella carovana, tra cui imprecisati “criminali” e “mediorientali sconosciuti“. E per sottolineare il concetto, aveva evocato lo spettro dell’immigrazione incontrollata in Europa: “A quelli che si battono per l’immigrazione illegale consiglio di dare uno sguardo a ciò che è successo in Europa negli ultimi cinque anni. Un disastro totale!”
For those who want and advocate for illegal immigration, just take a good look at what has happened to Europe over the last 5 years. A total mess! They only wish they had that decision to make over again.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 24 ottobre 2018
Nel frattempo i migranti continuano a risalire il Messico: giovedì hanno percorso 60 chilometri dalla città di Huixtla a quella di Mapastepec, nello stato del Chiapas. Al punto più vicino del confine Usa mancano ancora oltre 1.500 chilometri, 45 giorni di marcia nell’ipotesi più ottimistica. Ai giornalisti e fotografi che li accompagnano, gli honduregni – ma anche guatemaltechi, salvadoregni e qualche nicaraguense – dicono di andare avanti per il futuro dei propri figli, e per la paura di ciò che potrebbe loro accadere in patria, in Paesi (in particolar modo l’Honduras) in mano alle gang criminali. Negli ultimi giorni la dimensione della marea umana si è leggermente ridotta: qualche centinaio di persone hanno accettato l’offerta del governo dell’Honduras di salire su bus che li avrebbero riportati a casa. Nei giorni scorsi almeno tre camminatori sono morti nel percorso tra le città di Tapachula e Huixtla: due sono caduti da mezzi in movimento, un terzo è stato trovato in stato di disidratazione ed è morto probabilmente per insufficienza respiratoria.
I migranti sono aiutati dalla popolazione locale, che fornisce loro viveri, medicinali e vestiti durante il cammino. Nessun supporto è arrivato dal governo del Messico, guidato – ancora per poco – dal presidente Enrique Peña Nieto, che ha assistito soltanto chi si è fatto registrare agli uffici dell’immigrazione. Quasi 1.700 carovanieri, dicono le autorità messicane, hanno presentato richiesta d’asilo nel Paese. Secondo l’Associated Press, in più occasioni gli agenti di polizia messicani sono stati visti fermare pullman e camion sulla strada alla ricerca di migranti, che, se trovati, sono stati costretti a scendere con metodi poco gentili.