Notte tra il 20 e 21 agosto del 1968. Praga si sveglia coi carri armati dell’Unione sovietica in strada. Finisce nella repressione la Primavera di Praga, i sogni di cambiamento del presidente Alexander Dubcek vengono spazzati dai cingolati. Otto mesi di rivoluzione distrutti come i cristalli di Boemia. I più terrorizzati sono gli intellettuali, i politici, gli sportivi, tutti quelli che avevano firmato il manifesto della Duemila parole di Dubcek. Poche righe per un socialismo dal volto umano. Al posto di Dubcek i russi mettono Husak, il quale cancella tutte le riforme di Dubcek e da la caccia a tutti i firmatari.
Tra i firmatari c’è Vera Caslavska. Una ginnasta. All’Olimpiade di Tokyo del 1964 ha vinto l’oro alla trave, nel volteggio e nel concorso individuale, argento nel concorso a squadre. Una campionessa, la perla dei cecoslovacchi. Vera fugge. Mancano solo 2 mesi alle Olimpiadi di Città del Messico e mentre le sue rivali sono in America ad ambientarsi a un clima non proprio favorevole, lei è nascosta tra gli alberi della Moravia. Ha paura di essere arrestata, di sparire in qualche gulag siberiano.
Per allenarsi alza sacchi di patate, si appende agli alberi, volteggia a corpo libero sul prato davanti casa. Spala carbone per farsi venire i calli alle mani. Vera sembra più un’attrice americana che una ginnasta, ma è famosa in tutto il mondo per la sua bravura. Per Husak è una grana, ma non può lasciarla a casa alle Olimpiadi, lui vuole normalizzare la Cecoslovacchia e non può certo permettersi manifestazioni di protesta per una ginnasta. Ecco che così arriva nelle campagne sperdute della Moravia l’autorizzazione per le Olimpiadi.
Vera per tutti è spacciata. Fuori allenamento, le russe invece sono delle macchine da guerra che pensano solo ad allenarsi. Però certe volte la vita riserva sorprese anche a chi pensa di avere già al collo la medaglia più preziosa. Vera vince l’oro al volteggio, vince l’oro alle parallele. Con questi risultati, sommati alle Olimpiadi di Tokyo, Vera diventa la ginnasta cecoslovacca più decorata di sempre. Quattordicesima atleta più medagliata dei giochi olimpici. La ginnasta con più vittorie a livello individuale in tutto il mondo.
Ha vinto l’oro in tutte le specialità individuali. Alla trave finisce seconda alle spalle di una russa, senza non poche polemiche per giudizi contestabili. Alla gara più importante: il corpo libero Vera si esibisce sulle note di una canzone messicana: Ballo del Sombrero. Il pubblico la ama. Vera vince nuovamente l’oro, però accade una cosa mai accaduta prima nei giochi olimpici. I giudici, pressati dai russi, modificano il voto delle qualificazioni della seconda classificata, la russa Larisa Petrik, che si ritrova l’oro al collo a pari merito con Vera.
Da questo momento in poi la vita di Vera cambierà per sempre. Nel momento degli inni nazionali, quando l’orchestra intona quello russo e tutte le telecamere del mondo sono puntate sulle due atlete vincitrici a pari merito, Vera abbassa la testa. Protesta senza muovere un dito, protesta in tutto il mondo con gli occhi. Se ne accorgono tutti. Il suo gesto, fa rumore quanto i pugni alzati di Smith e Carlos. Vera rifiuta di guardare la bandiera che sta calpestando i diritti della sua nazione. Vera non degna i russi nemmeno del suo sguardo. È il 1968, è un anno particolare, è l’anno in cui esplodono le rivoluzioni e quella di Vera ha il sapore di una primavera soffocata troppo presto.
Vera avrebbe potuto vivere in Messico, adottata da un popolo che l’amava e invece no. Dopo le Olimpiadi, Vera torna a Praga finisce immediatamente sotto indagine. Gli dicono di ritrattare, di scusarsi, ma lei non lo fa e finisce per dover dire addio alla ginnastica. Bandita da tutte le competizioni, divieto di allenare in patria e all’esterno. Finisce nel completo anonimato, facendo pulizie di scale e portoni. Vera è in disparte, il regime ha cancellato la memoria delle sue medaglie. La depressione si impossessa di Vera e le vicende di una Guerra fredda infinita sono più importati delle sue capriole. Ma la vita è così, certe volte a ripetersi sono le farse, certe volte i miracoli.
Così nel 1989 Vaclav Havel guida la Rivoluzione di velluto, una protesta non violenta mirata a rovesciare il regime filo sovietico. Cinquantamila persone in strada. Questa volta i cingolati non calpesteranno il sogno del velluto. Vera vive il suo secondo tempo, diventa consigliera di Havel, presidente del Comitato olimpico ceco. Le medaglie chiuse in soffitta ritornarono a brillare, quello sguardo abbassato diventa il simbolo di chi non si piega mai.