Un Twist ci salverà? La risposta è ni. Non a caso il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, giovedì 25 ottobre non si è sbilanciato su nuovi interventi per stabilizzare il mercato dei titoli di Stato europei e lo spread. Anzi ha precisato che la Bce “non finanzia i deficit degli Stati”. Ma è noto che a Francoforte è da tempo allo studio l’opzione di uno scudo antispread (detto Twist, per l’appunto) in vista della fine del quantitative easing, il programma Bce di acquisto dei titoli di Stato dell’Unione. Sulla questione l’incertezza regna sovrana e forse qualcosa in più si saprà solo da qui a fine anno. Ma il punto è che la misura potrebbe solo alleggerire temporaneamente la situazione dell’Italia, non certo risolvere i suoi problemi nel momento in cui il governo ha deciso di finanziare in due terzi della manovra da 40 miliardi bocciata da Bruxelles. Senza contare che non si potrebbe escludere a priori la possibilità di un declassamento del Paese.
Ma in che cosa consiste esattamente la manovra che la Bce sta valutando? L’operazione Twist è uno scambio (detto in gergo swap) di titoli a scadenza breve con altri bond a lungo termine finalizzato ad aumentare la durata del portafoglio di obbligazioni sovrane della Bce e abbattere i rendimenti dei titoli di Stato dell’Unione sul lungo periodo. In questo modo, l’istituto centrale europeo riuscirebbe a mantenere bassi i tassi d’interesse e il costo del denaro nell’Eurozona. Detta in altri termini, si tratta a tutti gli effetti di un intervento di politica monetaria “accomodante”. Il senso è quello di reinvestire i titoli acquistati nell’ambito del Quantitative easing (per l’Italia circa 360 miliardi di euro, per il 90% in capo a Bankitalia e dei quali una quarantina verrà a scadenza il prossimo anno) in corso da marzo 2015 sostituendo i titoli che arrivano a scadenza con obbligazioni con durate più lunghe. Si tratta, quindi, di acquisti di titoli di Stato che complessivamente, nell’intera Eurozona, potrebbero raggiungere i 20 miliardi di euro al mese. La cifra è relativamente modesta rispetto ai volumi delle obbligazioni sovrane degli Stati europei. Tuttavia l’operazione avrebbe il merito di rendere la curva dei rendimenti più piatta, una condizione che tende a favorire gli investimenti e quindi la crescita economica.
Detta in altri termini, se l’operazione Twist andasse a buon fine, dovrebbe creare condizioni di mercato meno severe per lo Stato italiano che l’anno prossimo ha in programma nuove emissioni per almeno 200 miliardi di euro. Sarebbe poi anche una sorta di piccola tregua per le banche italiane che hanno in pancia più di 370 miliardi di debito pubblico. Inoltre avrebbe il merito di contenere la volatilità sul mercato dei titoli di Stato europei messi a dura prova dalla recente corposa vendita di titoli americani (i Treasury) che hanno fatto schizzare i rendimenti europei e asiatici. Infine, mantenendo bassi i rendimenti dei titoli pubblici sul lungo periodo, si conterrebbe anche il costo del danaro con un vantaggio per banche, imprese e famiglie.
A tutti gli effetti quindi il Twist può potenzialmente contribuire ad allentare le tensioni sulla spesa per interessi dell’Italia e a migliorare le condizioni finanziarie del paese offrendo un assist al governo gialloverde. Ma la tregua rischia di essere molto fragile: nulla esclude infatti un peggioramento della situazione. Soprattutto se Roma dovesse mantenere un comportamento poco rigoroso sul bilancio a fronte di una crescita inferiore alle previsioni e accentuare il clima di scontro con Bruxelles. “Una eventuale operazione Twist offrirebbe all’Italia più tempo per ristrutturare la spesa, ma se poi il governo non sfrutterà questa opportunità per risolvere i reali problemi del Paese incidendo su crescita e occupazione, si tornerebbe al punto di partenza – spiegano gli addetti ai lavori – Il Quantitative easing ha già concesso una finestra importante all’Italia che finora non ha provveduto ad effettuare le riforme strutturali e i necessari tagli alla spesa. Insomma, se lei a casa non ha più i soldi per pagare tutte le spese che ha, la prima cosa che fa è tagliare le uscite. Ecco, questo l’Italia non lo ha ancora fatto”. Per questa ragione, una eventuale operazione Twist allontana, ma non elimina la possibilità di un ulteriore declassamento del rating dell’Italia.
Non a caso, giovedì, il governatore Draghi ha precisato che al momento l’unico modo per correre in soccorso di un Paese in difficoltà è il programma Operazioni Monetarie Definitive (OMT), che sono acquisti di titoli di Stato da parte della Bce sul mercato secondario di un Paese che chiede aiuto al Fondo Salva-Stati. Si tratta però di misure che sono soggette alla richiesta di aiuto da parte del Paese. Inoltre sono anche sottoposte alla valutazione del Consiglio direttivo Bce che detta le condizioni per accedere all’intervento. Detta in altri termini, lo Stato richiedente viene “commissariato” da scelte di politica economica dettate dalla Bce. La questione ha naturalmente forte valenza politica visto che calibrare gli acquisti dei titoli su specifiche esigenze di un singolo Paese e non su esigenze dell’intera area euro (a volte configgenti) è una scelta opinabile, che compete all’intero board della Bce. L’argomento non è da poco visto che all’interno dell’Unione non c’è una compatta volontà politica di mettere al riparo l’Italia dagli attacchi speculativi. Per l’Italia l’opzione Twist è quindi l’ultima spiaggia prima di arrivare al programma di Operazioni Monetarie Definitive. Sarà un aiuto ma non il “proiettile d’argento” che mette definitivamente a tacere agenzie di rating e speculazione. “Non so se alla fine la Bce deciderà di intervenire, ma il punto è che per l’Italia lo scenario complessivo muterà solo in minima parte perché bisognerà mettere a punto le riforme che sono necessarie al Paese. Non mi sembra che al momento il trend sia questo”, conclude l’esperto.