Nel 2013, Barbara Lezzi, oggi ministra per il Sud, già annunciava: “Non potremo più tirarci indietro”. Sia in campagna elettorale che dopo la formazione del governo gialloverde, però, le promesse di stop sono state numerose. E ora il M5s rischia di pagare un prezzo alto a livello di consenso e di voti
“Diego De Lorenzis, l’anno prossimo vieni a fare il bagno alle Fontanelle facendo finta di niente?”. “Tony Trevisi, i tuoi studi sulla Posidonia sono nei bagni di Palazzo Chigi, va bene così?”. “Cristian Casili, hanno fatto bene a manganellarti con i sindaci? Dici che è il caso di fare qualcosa?”. Ad uno ad uno. Contestazione senza tregua. Ed è solo l’inizio. I noTap non dimenticano le promesse dei pentastellati, che fino a qualche giorno fa hanno considerato dal loro lato della barricata. La patente politica all’opera, dopo le parole del premier Giuseppe Conte, è cosa fatta. La motivazione ufficiale è nota: stoppare il gasdotto in arrivo dall’Azerbaijan costerebbe troppo, quanto una manovra finanziaria, ha fatto sapere il governo. Venti miliardi di euro è il calcolo minimo fatto da Socar, società di Stato azera che tra l’altro detiene anche il 20 per cento delle azioni del consorzio Tap. Venti miliardi è la cifra che ha ripetuto durante il vertice il sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico, il pentastellato Andrea Cioffi, componente dell’ “Associazione interparlamentare Italia-Azerbaijan”. Nessuna documentazione a supporto è stata fornita.
Lo strappo tra M5s e noTap sarà inevitabile. E non ci vuole molto a capirlo: troppo ardite le promesse fatte, ma anche troppo delicato il ruolo finora ricoperto dai Cinquestelle nel territorio salentino. Barbara Lezzi, leccese, oggi ministra per il Mezzogiorno, è colei che veniva chiamata a riportare la calma sulle strade infuocate dalle proteste, nella primavera 2017. È colei che, a sua volta, infiammava le piazze contro i governi targati Pd. Ora “sei come la Bellanova”, le rimproverano gli attivisti. Che, appunto, non dimenticano: il Movimento ha superato il 40 per cento nel Leccese, anche cavalcando quella battaglia, fin davanti ai cancelli del cantiere, frapponendosi tra manifestanti e polizia. Bisogna partire da lontano per capire la portata della lacerazione, ma anche il peso politico delle cose non dette. In un’assemblea pubblica a Melendugno, il 10 novembre 2013, l’allora parlamentare Barbara Lezzi metteva in guardia: “Se quell’accordo (l’accordo intergovernativo su Tap firmato nel febbraio precedente da Italia, Grecia e Albania, ndr) verrà ratificato, andremo a pagare una penale anche bella pesante e non potremo più tirarci indietro. Non è vero che è sganciato dalla ratifica, è falso, andate a leggere le carte”. Un mese dopo, il Parlamento lo ha ratificato, con il voto negativo di Sel e Lega e l’abbandono dell’Aula da parte dei pentastellati.
Nella lunga campagna elettorale verso le politiche del 4 marzo, tutto ciò è stato tralasciato. Anzi, la stessa Lezzi ha firmato, presso il municipio di Melendugno, un documento di impegno a fermare l’opera stilato da alcuni giuristi nelle forme di un “contratto con i candidati”. Pesante, sempre, è stato l’attacco ai candidati, in primis Pd ma anche del centrodestra, che hanno ammesso la difficoltà di azzerare tutto. “Questa è un’opera di fantascienza”, diceva Beppe Grillo nel settembre 2014, ad una manifestazione antigasdotto, proponendo un referendum per dare la parola ai cittadini.
“Governo delle lobbies e delle banche, vattene a casa e portati via anche quel pagliaccio di Michele Emiliano che non mantiene le promesse fatte al Salento”, tuonava la stessa Lezzi il 28 marzo 2017, quando le ruspe hanno iniziato a rimuovere gli ulivi. “La giornata dell’orgoglio salentino non può essere trascurata dal governo e dalla Regione”, ripeteva ancora Lezzi il 3 aprile successivo, davanti alla platea di migliaia di persone che protestava contro la costruzione di Tap a Lecce. L’apoteosi, in quei giorni, è arrivata con Alessandro Di Battista e il suo “col M5s stelle al governo blocchiamo questo progetto in 15 giorni” pronunciato sul palco di San Foca.
Ha scritto Lezzi, ancora, il 9 febbraio scorso: “Lo ripeto e lo chiedo per l’ennesima volta: Calenda, poche chiacchiere, alzati dalla poltrona e vieni in Salento a spiegare a chi e a cosa diavolo serve Tap.[…] Le provocazioni via social, le superficiali e scorrette dichiarazioni stanno alimentando rabbia e frustrazione. Lo capisce o no, Ministro? Se non ha coraggio, almeno stia zitto”. Tanti gli esposti in Procura anche dagli altri portavoce pentastellati leccesi. Uno di questi, nell’aprile scorso, ha portato al sequestro di una porzione di cantiere. L’ultimo, però, a settembre, è stato depositato da parlamentari non eletti nel Salento.
Si è alimentata così l’idea del dietrofront possibile, alla portata di un governo a trazione 5stelle. E il territorio ci ha creduto davvero: a Melendugno, il comune in cui è in corso la costruzione del metanodotto, Barbara Lezzi ha ottenuto il 65 per cento dei voti. Appena insediatosi, anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha annunciato la revisione del progetto per la possibile riapertura della Valutazione di impatto ambientale, non avvenuta. Poi, è iniziata la salita. Quando agli inizi di luglio, la Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) ha deciso per il maxi finanziamento da 500 milioni di euro al gasdotto, grazie al voto dell’Italia e sulla base delle indicazioni giunte dal Ministero dell’Economia e Finanze, molti hanno iniziato a comprendere che la piroetta era in corso e che, probabilmente, le promesse elettorali sono state audaci, per non dire azzardate. Il Ministero “deve onorare il trattato ereditato che impegna l’Italia ad agevolare autorizzazioni e ad agire in tutte le forme per non ostacolare l’opera”, ha spiegato Lezzi. “Un atto di tradimento”, lo hanno bollato da subito i noTap. L’aspra contestazione nei suoi confronti, in estate, “è stato solo un assaggio di ciò che troveranno i Cinquestelle nel Salento”, promettono ora gli attivisti.