Le polemiche per il compleanno a sorpresa di Fedez, organizzato dalla moglie Chiara Ferragni in un supermercato Carrefour di Milano, hanno tenuto botta per qualche giorno. E se l’intento era di far parlare il popolino – nel bene o nel male è uguale, purché i followers restino – la festa è riuscita, nonostante gli attacchi sullo spreco di cibo e successive scuse, volte a tamponare le critiche e rincuorare i fan indignati.
Al di là delle polemiche (con lo sperpero di cibo nel grasso occidente, e ben oltre la TV, ci si può sfamare mezza Africa), mi ha colpito la scena dei due mentre confabulano in un angolo sulla contromossa da adottare, dopo la sopraggiunta reazione negativa del web in tempo reale. Invece che celebrities vedevo due ragazzi giovani ingabbiati dal loro stesso artificio, nel mezzo di una festa nella quale all’improvviso la storia non segue il copione concordato. Quasi che nell’attimo di evasione il mondo al di fuori venisse a bussare per farli rientrare nei ranghi.
Quando il lavoro diventa la vita stessa, scollarsi da esso è impossibile perché la demarcazione tra pubblico e privato non esiste più, e la folla in attesa della prossima tappa reclama il tuo intimo. Con il beneficio di giudizio, tra l’altro. Così che la tregua è solo un frammento tra foto, stories, video ad uso e consumo di un altro sempre lì, alla porta. I fari puntati sulla propria vita privata privano di tanto – certamente ricompensando con generosi doni materiali dei quali il pubblico prova gelosia -, anche della possibilità di poter sbagliare, di vivere la folle leggerezza di un compleanno, l’agio di essere spenti.
Questo tipo di celebrità nata dai social porta anche il peso di una rispettabilità perbenista da onorare, che fa intuire tra i post di scusa il panico di poter perdere una fetta di sostenitori o uno sponsor. Con buona pace delle vere star trasgressive, che nel giusto o nello sbagliato seguivano a priori la loro strada maledetta, autodistruttiva, sempre fedeli a loro stessi. E a culo tutto il resto (cit).
Il pubblico li osanna, segue i loro passi con l’illusione di toccare, seppur dai margini, il loro universo. Le star del web, da parte loro, non esisterebbero senza la presenza dei loro seguaci, creando quindi una sorta di interscambio di identità, quasi che l’autodefinizione si legittimi solo attraverso l’altro, sia questa sotto forma di commento, plauso o critica ma soprattutto di numeri. Senza i numeri, la magia finisce. I giovani li emulano vagheggiando la stessa gloria, come mi conferma G., un bambino di nove anni che da grande sogna di fare lo youtuber. Le stesse aspirazioni le prova anche R., una coetanea che all’insaputa della madre pubblica video su come creare uno squishy. Se non fosse di una desolazione straziante, il pensiero che in quella cameretta si fabbricano sogni sul nulla sarebbe quasi commovente.
Siamo davanti a un cambiamento enorme, sociale e culturale, destinato a durare molti decenni proprio perché fa leva sulle ambizioni dei giovanissimi. Un cambiamento in stato embrionale con la nascita dei primi reality, ossia la costante brama (e consapevolezza) che il successo non sia più tanto del fare, quanto dell‘essere. Forse ho già oltrepassato la china e da quarantenne capisco questo successo ma non lo vedo come qualcosa a cui aspirare, né per me né per i miei figli. Non riesco a invidiare qualcuno che per fama o denaro sia disposto a vendere il bene per il quale noi uomini possiamo definirci tali, la libertà.