“Io non potrei credere se non in un Dio che sapesse danzare”, così scriveva Nietzsche. Per me è fondamentale altro, per me Dio deve sapere allattare. Chi mi allatta mi alletta. Ho un debole per tutte le persone che nella mia vita mi hanno nutrito, e naturalmente il nutrimento originario è mamma.
Il suo latte doveva essere speciale, siamo due fratelli alti e robusti. Ci muoviamo nel mondo con gentile sicurezza, con affetto panoramico, felici come tutti i figli che hanno ricevuto tanto amore. Mamma ci ha donato alla luce ma anche alle tenebre, ne siamo consapevoli, ma non crediamo che la vita sia “un lugubre scherzo” come sosteneva Strindberg.
Forse la vita è uno scherzo, ma non è poi così lugubre: ci sono gli arcobaleni, i fiori e le donne. E soprattutto: la musica. Forse potrei vivere senza donne ma non potrei mai vivere senza musica. Anche se quando m’innamoro vedo la donna come una sinfonia di radici, respiro e celesti gemiti. Questa musica che sento nel mio sangue, nella mia mente, nascosta nel silenzio come un dono sonoro, questa musica è figlia dell’amore di mamma.
Mamma è di Firenze, in lei vive il Rinascimento, l’arte, la terra, il cielo, in lei si rispecchiano le nostre paure e le nostre confuse gioie. Lei è il corpo e lo sguardo. Sue sono le mani dell’universo. Quando mi svegliai sulla barella dell’ospedale, dopo un’operazione, risorto dalle nebbie profonde dell’anestesia, la prima cosa che sentii su di me furono le sue mani.
Senza le sue mani mi sarei sentito sperduto. Abbandonato in una fredda clinica asettica. Senza le mani di mia madre lo stesso universo sarebbe una fredda clinica cosmica, senza conforto. Vorrei morire con le sue mani addosso. Quando mi sento soffocare nel mio stesso respiro, prigioniero dei miei polmoni, quando cascate di cielo purissimo non riescono a placare la mia angoscia esistenziale, penso a mia madre, alle sue mani lucenti, ai suoi occhi verdi come la speranza.
In lei è la spiegazione di tutto, sono nato con il cordone ombelicale attorcigliato al collo, sono nato soffocando, ed è per questo che a volte il mio respiro mi fa paura, mi fa tremare d’amore. L’esistenza è una questione di vita e di morte, sempre. So che il mio Dio non è eterno, ma l’eternità mi ha sempre lasciato indifferente, la vedo come un’immensa sala di attesa in cui si attende ciò che è già avvenuto. Mi nutro di contingenza, di attimi scabrosi e cristallini.
Mi placa solo il mio dio terrestre, mi rassicura vedere il tempo che scava nella carne il suo solco implacabile, paradossalmente solo ciò che è mortale mi fa sentire in pace con la vita. Ho sempre bisogno di una via fuga, e come fuggire da una vita eterna? Come fuggire dall’eterna beatitudine del paradiso? Questa vita fatta di incanti e turbamenti, questa vita che fugge e frigge, questa vita abissale e di carta velina, questa vita è l’unica cosa che desidero ed è grazie a mia madre che il mio desidero è in espansione continua, non verso le stelle, ma verso l’orizzonte.
Ho una spiritualità che subisce la forza di gravità, ma con ineffabile leggerezza. Del resto qualcuno ha scritto: “Vivere è una caduta orizzontale”. E io sono d’accordo. Mamma è l’orizzonte di ogni cosa. E vi farò una confidenza, ancora mi faccio cantare la ninna nanna e il prossimo 2 aprile farò 50 anni. Lo so, non è molto normale. Mi faccio cantare “ninna nanna ninna o, il mio bambino a chi lo do, se lo do alla befana me lo tiene una settimana, se lo do all’uomo nero me lo tiene un anno intero”.
Nella mia vita ho visto tante befane e qualche uomo nero, ma mamma mi ha sempre tenuto vicino. Mamma è Dio, il mio Dio e di mio fratello. E se mi chiedete: e tuo padre chi era Ricky? Rispondo: mio padre era l’uomo che faceva l’amore con Dio. E scusate se è poco! Mamma, mamma, mamma mia!
Il dialogo con mamma che vi propongo risale ad alcuni anni fa, quando ancora ero senza una donna, poi per miracolo una donna è venuta proprio a bussare alla mia porta dopo avere visto su internet i miei film, dicendomi: sei un uomo che dice non solo quello che pensa, ma anche quello che prova.