Il titolare dell'Economia: "Forse il 2,4% non serviva. Ma lo spread non dipende da quello bensì dall'incertezza politica su dove va il Paese. Le banche? Sono in grado di superare i test sulla capitalizzazione, o almeno quasi tutte. In caso di crisi il governo deve intervenire". E su Alitalia: "Non ho visto nessun piano industriale, c'è il prestito ponte di 900 milioni che deve essere restituito"
Mario Draghi “ha commentato la realtà come banchiere centrale. Non ha detto niente di strano. E’ chiaro che lo spread a questo livello è dannoso“. Ma “perché lo spread è alto? Non credo che dipenda dalla manovra perché il deficit è alto”, piuttosto “c’è un’incertezza politica su dove va il Paese”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, partecipando alla festa del Foglio a Firenze, si è detto d’accordo con il presidente della Bce per quanto riguarda gli effetti negativi sui bilanci delle banche dell’innalzamento dei tassi di interesse sui titoli di Stato. Ma ha negato che la causa del problema sia il deficit/pil al 2,4% che ha innescato lo scontro con la Commissione Ue.
“Io avrei preferito un livello di deficit più basso, ma da ministro, non da economista”, ha raccontato. “Da economista avrei scelto 2,4 o 2,5% perché bisogna contrastare il rallentamento dell’economia, ma da ministro avrei preferito un livello più basso per prima cosa perché forse non serviva“. In ogni caso, appunto, secondo Tria non è da questo che dipende lo spread. Dunque “come facciamo a farlo scendere? Basta abbassare il deficit al 2,2%? Può contare nei rapporti con Europa, ma i decimali non credo preoccupino i mercati”.
Che fare allora per le banche? “Sono ancora solide, sono in grado di superare i test sulla capitalizzazione (i risultati sono attesi il 2 novembre, ndr) – o almeno quasi tutte – e per ora non ci sono pericoli“, ha affermato il ministro. Ma in caso di crisi “il governo deve in un modo o nell’altro intervenire. Dire come non è possibile, se un ministro lo facesse turberebbe il mercato, perché sono quotate. Non c’è nulla di strano nel dire interverremo. Qualunque governo deve intervenire, sia sul bail in che sul bail out. Il bail in è una liquidazione di una banca e quindi coloro che hanno investito nella banca sia in azioni o obbligazioni non garantite evidentemente perdono. Certo l’Italia ha accettato che il bail in diventasse regola europea un po’ troppo presto. Ma questa critica è venuta anche dalla Banca d’Italia. Il ministro Saccomanni disse che fu costretto ad accettarla sotto ricatto tedesco”.
Quanto alle critiche sulle previsioni di crescita del governo, ritenute troppo ottimistiche dalla Ue ma anche dal nostro Ufficio parlamentare di bilancio, Tria ha spiegato che la stima di un +1,5% nel 2019 è stata fatta “con un modello econometrico del Tesoro: si può migliorare, io lo migliorerei“, ma è stato usato lo stesso usato in precedenza. “Se la crescita fosse dell’1% invece che dell’1,5% – ha aggiunto – il deficit non sarebbe del 2,42% ma del 2,46%, questi sono i dati”.
Per quanto riguarda Alitalia, dopo lo scontro con il vicepremier Luigi Di Maio sulla nazionalizzazione il ministro ha ribadito: “Il connubio tra Alitalia e Fs è una questione che non riguarda il mio ministero. Dopo un anno abbiamo tre commissari e non ho visto nessun piano industriale. C’è il problema di un prestito ponte di 100 milioni che deve essere restituito e questo è previsto dalle regole europee. Nel piano industriale la parte pubblica deve essere limitata, devono esserci i privati. Alternativa da evitare è la liquidazione di Alitalia, sono 14mila famiglie”.