Ci restano 12 anni prima del disastro. Prima di superare i fatidici 1,5 gradi. Prima di varcare la “soglia del non ritorno”, ovvero cambiamenti in tutto l’ecosistema totalmente irreversibili. Lo dice la recente dichiarazione del panel delle Nazioni unite sul riscaldamento globale, che si è riunita la scorsa settimana in Corea del Sud. Ma noi continuiamo tranquilli a segare il ramo dove siamo appollaiati, insieme ai nostri figli.
E quando i nostri figli tra 12 anni ci chiederanno: “Papà, mamma, voi cosa avete fatto, per fermare i riscaldamenti climatici? Avete smesso di comprare la carne di allevamento industriale? Avete mangiato cibo locale? Avete camminato e pedalato piuttosto che usare l’auto? Avete scelto di non cementificare la terra fertile? Avete optato per energia pulita, avete rifiutato la plastica usa e getta?”, noi allora diremo loro: “No, figlio mio, non abbiamo voluto privarvi di nessuna comodità“.
Nel mio ultimo libro, Occidoria e i Territori Ribelli, un solo albero è rimasto in vita, l’ultima colonna del cielo, per la folle ingordigia degli Occidoriani. Ma quando il disastro è ormai inevitabile, gli Occidoriani iniziano ad aprire gli occhi. “Scien mormorò: ‘Perderemo la guerra, e molto di più’. ‘Cosa, cosa vuoi dire?’. ‘Voglio dire che perderemo tutto, perderemo questo mondo, questo prezioso pianeta blu, l’unico in grado a ospitare la vita‘. Il Drago si portò le zampe alla testa, inorridito: ‘E tu, che sei uno scienziato, non puoi fare niente?’. ‘No, che non posso… la tecnologia può solo ritardare il momento del disastro, ma se non impariamo a vivere più sobriamente…non c’è nulla da fare, presto sarà la fine'”.
Non è solo un romanzo fantasy, una storia per ragazzini. Purtroppo, davvero, la tecnologia non ci salverà. Non servirà immagazzinare la CO2. Non servirà rendere le nuvole più bianche. Non serviranno scudi spaziali a bloccare i raggi solari. Nessuna “Morte Nera” sta puntando contro di noi il laser distruttore. Siamo noi a doverci fermare. La “Morte Nera” è dentro di noi, in questo insostenibile modello di sviluppo.
Come dice il manifesto contro la geoingegneria, promosso dalla campagna Hands off Mother Earth – Campagna Home: “La geoingegneria perpetua la falsa convinzione moderna che l’attuale modello di produzione e consumo, devastante, ingiusto ecologicamente e socialmente, non può essere cambiato e che abbiamo bisogno di strumentazioni tecnologiche per domarne gli effetti! In realtà i cambiamenti che dobbiamo realizzare per affrontare la crisi climatica sono fondamentalmente di tipo economico, politico, sociale e culturale. Le emissioni di CO2 equivalente per settore in Europa sono pari al 26,9% per i trasporti, al 22,9% per l’elettricità, 22,6% per l’industria, 14,66% per le abitazioni, 9,84% per l’agricoltura, 2,9% per i rifiuti.
Tutti questi settori ci riguardano e chiamano in causa il nostro stile di vita. Se guardiamo all’andamento delle emissioni per settore, quello dei trasporti è in crescita, in contrasto con il programma di riduzione a zero entro il 2050. Occorre quindi investire molto di più nei mezzi pubblici, nella mobilità ciclabile e modificare i nostri stili di vita. Camminare, pedalare, andare con i mezzi pubblici dovrebbero essere per tutti la norma e non un’eccezione, dimezzando la quantità delle auto in circolazione.
Ma non basta: comprare frutta e verdura locale e di stagione, biologica, ridurre o eliminare la carne e i latticini che provengono da allevamenti industriale, ridurre il superfluo, scegliere energia rinnovabile (se non abbiamo posto per pannelli solari sul tetto, possiamo diventare soci di cooperative di energia rinnovabile che la immettono nel mercato). Se vogliamo cambiare casa, preferiamo l’usato, la ristrutturazione, evitando di cementificare terreno fertile.
Evitiamo l’usa e getta per ogni azione della nostra vita, dalle feste di compleanno ai pannolini per bambini, preferendo sempre il compostabile e il riusabile. A livello nazionale e globale, chiediamo di eliminare le infrastrutture relative ai carburanti fossili e gli incentivi connessi. Dobbiamo andare verso un’economia femminista e rigenerativa, che permetta di conciliare tempo di lavoro, di cura e di rispetto dell’ambiente. Fondamentale è poi il supporto all’agroecologia dei contadini e alla sovranità alimentare, il rispetto degli ecosistemi vitali del pianeta, soprattutto le foreste, integrando i diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali.
Perché tra 12 anni dovremo guardare negli occhi i nostri figli e rendergli conto di quello che abbiamo fatto.