Standard & Poor’s non declassa il rating dell’Italia ma mette in guardia i mercati su un possibile futuro incerto. In altre parole il problema è politico prima che economico. E, infatti, ormai tutti si sono accorti che il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles è politico, come d’altronde fu politica la decisione di non salvare la Grecia nel 2010. E vediamo perché.
In primis, la Commissione o chi da dietro le quinte la dirigeva nel 2010 (cioè l’asse Parigi-Bruxelles), ha lasciato che fosse la pressione dei mercati a piegare la Grecia, pressione creata dalla esplicita disapprovazione dell’Unione europea. Così lo spread saliva e a ogni aumento il debito greco aumentava, le banche diventavano più povere e la disperazione cresceva. La strategia di Bruxelles è stata non intervenire e aspettare che la Grecia si piegasse e bussasse alla sua porta sotto la pressione dei mercati. E così è stato.
La bocciatura della legge di bilancio italiana ci ripropone la stessa strategia. L’idea è che durante le tre settimane concesse al nostro governo la pressione dei mercati lo costringa a cambiare rotta e a produrre un bilancio in linea con le direttive di Bruxelles. E qui ci imbattiamo in un secondo punto fondamentale, i parametri che vengono utilizzati per produrre tali direttive come è stato spiegato molto bene questa settimana in un articolo del Wall Street journal.
Secondo gli accordi di Maastricht il tetto massimo di deficit concesso agli stati membri è del 3% – al 2,4% quello proposto dall’Italia è ben al di sotto – e un deficit del 60% per Pil. Il trattato di Maastricht non è stato cambiato, tuttavia dal 2010 la Commissione ha introdotto un nuovo concetto di deficit, il deficit strutturale, che esclude dalla valutazione le tendenze cicliche dell’economia e gli eventi straordinari, come i disastri naturali. Il tetto del deficit strutturale viene suggerito annualmente da Bruxelles a ogni Stato membro secondo alcuni parametri che vedremo qui di seguito. Per l’Italia nel 2019 non deve superare lo 0,6% mentre la proposta del governo lo porterebbe allo 0,8%. La differenza tra questi due valori è il motivo della disputa tra Roma e Bruxelles.
Il vero problema è come viene calcolato il deficit strutturale, è infatti la differenza tra il Pil reale e quello potenziale quando un’economia è in piena occupazione, non ha spinte inflazioniste ed è pienamente capitalizzata. Secondo gli italiani, Bruxelles ha usato proiezioni troppo ottimiste per il nostro Paese e cioè uno scarto positivo dello 0,5% tra i due valori, si tenga presente che le proiezioni per la Germania danno uno scarto positivo dello 0,6%! Con una scarto così piccolo, è facile per Bruxelles imporre all’Italia un bilancio non espansivo ma che presenti una strategia di tagli per ridurre il debito in una fase economica reputata positiva. Secondo stime più realiste la differenza tra il Pil reale e quello diciamo ideale dell’Italia oscilla tra il -4 e il -5%, siamo quindi lontanissimi dalle proiezioni di Bruxelles e in un territorio economico completamente diverso. La legge del bilancio, invece, ha utilizzato uno scarto negativo dell’1,2%.
Al di là dei numeri e delle proiezioni il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles evidenzia politiche economiche opposte e impossibili da conciliare. Per la seconda l’economia italiana non ha bisogno di nessuno stimolo, al contrario è pronta per una riduzione del debito attraverso tagli della spesa, aumento delle imposte, ad esempio l’Iva, e prolungamento dell’età pensionabile. Per i due partiti al governo invece le condizioni economiche del paese sono inaccettabili ed è necessaria una spinta per rilanciare il volano della crescita. In fondo è su questa piattaforma che sono stati eletti.
La domanda che tutti si pongono è chi la spunterà questa volta, se l’Italia verrà presa di mira dai mercati e dovrà piegarsi sotto il peso schiacciante di uno spread in salita o se invece le cose andranno diversamente. Con la Brexit alle porte, un presidente americano palesemente anti europeista, le guerre dei dazi sulle due sponde dell’Atlantico e Putin che paradossalmente potrebbe diventare l’ago della bilancia di nuovi equilibri internazionali, è possibile che i mercati reputino la strategia italiana vincente nel lungo periodo e scommettano proprio sul bilancio bocciato da Bruxelles.
Come dicono gli anglosassoni la finanziaria italiana del 2019 sarebbe un game changer, un giro di boa spettacolare. In fondo, dopo il voto della Brexit e l’elezione di Trump tutto è possibile anche una nuova Europa.