Bugie, depistaggi, soffiate e favori. E in mezzo la centrale acquisti della pubblica amministrazione e i suoi ricchissimi appalti. È stata chiusa l’indagine Consip da parte degli inquirenti di Roma: tra gli indagati restano l’ex ministro dello Sport, Luca Lotti e il generale Tullio Del Sette. Secondo quanto apprende il Fatto Quotidiano la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dal reato di traffico di influenze per Tiziano Renzi, padre dell’ex premier Matteo, ritenuto però “ampiamente inattendibile” dalla procura.
Rischiano quindi di finire a processo per favoreggiamento Lotti, il generale dell’Arma Emanuele Saltalamacchia e Filippo Vannoni, ex consigliere economico di Palazzo Chigi, mentre l’imprenditore Carlo Russo è indagato per millantato credito. Chiuse le indagini per rivelazione del segreto, falso e depistaggio per l’allora capitano del Noe, Gian Paolo Scafarto. Ultima contestazione che il carabiniere condivide con il colonnello dell’Arma in aspettativa Alessandro Sessa. Per Del Sette la contestazione è favoreggiamento e rivelazione di segreto di ufficio.
Gli indagati erano dodici, Lotti iscritto il 21 dicembre 2016
Gli inquirenti avevano chiesto una proroga della indagini il 12 gennaio scorso. La richiesta riguardava dodici persone finite sotto inchiesta: il ministro Luca Lotti, il generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia, l’imprenditore Carlo Russo, il comandante dell’Arma Tullio del Sette, l’imprenditore Alfredo Romeo, Italo Bocchino, l’ex ad di Consip Domenico Casalino, Francesco Licci, Silvio Gizzi, Tiziano Renzi, il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni e l’ex presidente di Consip Luigi Ferrara. Per gli altri cinque indagati quindi il destino giudiziario sarà un altro. E a deciderlo sarà il gip che dovrà accogliere o respingere la richiesta di archiviare della procura.
L’iscrizione nel registro degli indagati di Lotti – come rivelato da Marco Lillo sul Fatto Quotidiano – risale al 21 dicembre del 2016, il giorno dopo l’audizione, davanti agli inquirenti di Napoli, dell’ex ad di Consip Luigi Marroni, che aveva ammesso di aver saputo dal ministro dell’indagine in corso sulla centrale acquisti della Pubblica amministrazione. Il fascicolo passò subito a Roma per competenza e il 27 dicembre Lotti si presentò a Piazzale Clodio per essere sentito dagli inquirenti. Poi il 14 luglio del 2017 era stato interrogato dal pm Mario Palazzi, responsabile del fascicolo, alla presenza del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e dell’aggiunto Paolo Ielo. Erano stati i suoi avvocati, Franco Coppi e Ester Molinaro, a spiegare che nel corso di un “sereno interrogatorio durato circa un’ora”, il ministro ha risposto “puntualmente a tutte le domande che gli sono state rivolte” e ha ribadito “con fermezza la sua estraneità ai fatti contestati”.
Il millantato credito di Carlo Russo e i 100mila euro promessi da Romeo
Stando al capo di imputazione l’imprenditore Carlo Russo si faceva promettere dall’imprenditore Alfredo Romeo, 100mila euro all’anno, “come prezzo della propria mediazione” nei confronti di Daniela Becchini, all’epoca dei fatti dg del patrimonio Inps, Silvio Gizzi, all’epoca amminstratore delegato di Grandi Stazioni rail, Monica Chittò, all’epoca sindaca del comune di Sesto San Giovanni e infine Luigi Marroni, all’epoca amministratore delegato di Consip. Stando alle indagini le mediazioni dovevano riguardare commesse e appalti. Russo, avrebbe millantato con l’imprenditore napoletano (per cui la Cassazione aveva annullato l’arresto per corruzione il 9 marzo) anche il tramite dell’attuale sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, per fargli ottenere un appalto indetto dal comune di Sesto. Era stato sempre Russo a “prospettare” a Romeo la mediazione – tramite Renzi senior – che doveva consistere nell’ottenere aggiudicazioni di appalti della centrale acquisti della pubblica amministrazione (Consip). Tutte mediazioni inesistenti.
La rivelazione di Lotti e Saltalamacchia a Marroni
All’ex ministro renziano è contestato di aver rivelato all’ad di Consip, Luigi Marroni, l’esistenza dell’indagine che riguardava vertici ed ex vertici e dell’attività di intercettazione “con conseguente pregiudizio alle ragioni investigative che avevano generato – si legge nel capo di imputazione – i decreti autorizzativi dell’attività di intercettazione” aiutando così “gli indagati in quel procedimento a eludere le investigazioni”. Anche Saltalamacchia risponde dello stesso reato: per l’accusa invitò Marroni a essere prudente perché la procura di Napoli stava indagando. Viene contestata invece la rivelazione di segreto d’ufficio al generale Del Sette che, stando alla procura di Roma, rivelò a Luigi Ferrara, presidente della Consip, l’indagine a carico dell’imprenditore fintio nei guai con l’accusa di corruzione. Anche l’alto ufficiale disse a Ferrara di essere cauto al telefono. Mentre Filippo Vannoni, già presidente di Publiacqua a Firenze ed ex consigliere di Palazzo Chigi, avvertì Marroni.
Le accuse all’allora capitano del Noe Giampaolo Scafarto
Anche per Scafarto c’è la contestazione della rivelazione del segreto. Secondo i pm svelò al vice direttore del Fatto Quotidiano, Marco Lillo, il contenuto delle dichiarazioni di Marroni e Ferrara agli inquirenti di Napoli e l’iscrizione di Del Sette, atto coperto da segreto. Al militare viene contestato anche il falso relativa all’informativa in cui attribuiva la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” ad Alfredo Romeo. In realtà a pronunciare quella frase (senza che si riferisse a Tiziano Renzi) era stato l’ex parlamentare Italo Bocchino. Scafarto ha sempre ribadito di non aver “mai taroccato” alcuna informativa. Ma, stando a chi indaga, nell’informativa aveva inserito anche il presunto coinvolgimento di “personaggi asseritamente appartenenti ai servizi segreti, ometteva scientemente informazioni ottenute a seguito delle indagini esperite”. Nell’informativa scrisse che aveva “il ragionevole sospetto di ricevere attenzioni da parte di qualche appartenente ai servizi”. Per gli inquirenti Scafarto – la cui misura di interdizione è stata dalla Cassazione – avrebbe anche omesso una serie di particolari sull’auto e la targa del sospetto che in realtà risultava essere un cittadino italiano residente in zona. Anzi per la procura di Roma sarebbe stato proprio Scafarto – ora assessore alla Sicurezza e alla legalità del Comune di Castellammare di Stabia – a rivelare a ex carabinieri, ora in servizio all’Aise, l’indagine di Napoli. Sempre a Scafarto, in concorso con Sessa, viene contestato il depistaggio per aver disinstallato whatsapp dallo smartphone del colonnello e impedire quindi agli inquirenti di ricostruire le conversazioni.
Pm: “Ricostruzione di Tiziano Renzi inattendibile”
La Procura di Roma, oltre a quella di Tiziano Renzi, ha chiesto di archiviare la posizioni dall’ex parlamentare del Pdl Italo Bocchino e dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, indagati per traffico di influenze. I magistrati hanno, inoltre, chiesto al gip di fare cadere le accuse per l’ex ad di Consip Domenico Casalino, per l’ex dirigente Francesco Licci e per l’ex ad di Grandi Stazioni Silvio Gizzi, cui era inizialmente contestata la turbativa d’asta. Richiesta di archiviazione anche per l’ex presidente di Consip, Luigi Ferrara, accusato di false dichiarazioni al pm.
La richiesta di archiviazione da parte della procura si basa sull’assenza di riscontri sull’ipotesi di reato. Renzi era stato dapprima indagato per traffico di influenze e poi solo per millantato credito in concorso con l’amico imprenditore Carlo Russo, nei confronti di Alfredo Romeo. Gli inquirenti però sottolineano di ritenere “ampliamente inattendibile” la versione data dal padre dell’ex premier sulla vicenda quando chiese di essere interrogato dai pm, nel febbraio del 2017. Inoltre chi indaga è convinto che sia stato Tiziano Renzi a mettere in contatto Russo con Luigi Marroni, ad di Consip all’epoca dei fatti contestati e che il padre dell’ex premier abbia effettivamente incontrato Alfredo Romeo nel 2015, a Firenze, in un periodo che viene ritenuto troppo lontano dai fatti in indagine. In attesa della decisione del gip, che potrebbe accogliere o respingere le richieste di archiviazoni, l’ex premier Matteo Renzi scrive su Facebook: “Sono mesi che ripeto: il tempo è galantuomo. Sui finti scandali, sulle vere diffamazioni, sui numeri dell’economia: il tempo è galantuomo. Oggi lo dico e lo ribadisco con ancora più forza: nessun risarcimento potrà compensare ciò che persone innocenti hanno dovuto subire. Ma il tempo è galantuomo, oggi più che mai”. Stessa lunghezza d’onda dell’avvocato, Federico Bagattini:”Questi ultimi giorni hanno dimostrato che il tempo è galantuomo, prima il riconoscimento del risarcimento nel danno a titolo di diffamazione, ora la richiesta di archiviazione del procedimento così detto Consip. Alla soddisfazione professionale per l’esito, del resto ancora da confermare trattandosi solo di richiesta di archiviazione – prosegue Bagattini -, si unisce quella personale da parte del dottor Tiziano Renzi, che risulta, tuttavia, menomata dalla considerazione che la campagna subita negli ultimi due anni abbia prodotto gravi e irreversibili danni sul piano personale, familiare ed economico”.
Ha collaborato Vincenzo Iurillo