Gli investigatori hanno interrogato Daniela Cantamessa, ex segretaria del senatur, nell’ambito dell’inchiesta per riciclaggio su parte dei 49 milioni di euro che, secondo l’ipotesi investigativa, sarebbero stati fatti sparire all’estero
“Tutto questo disastro è stato impostato dal 2012 in poi”. E cioè quando l’anno in cui Roberto Maroni sostituisce Umberto Bossi al vertice della Lega. I pm della procura di Genova e gli uomini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza hanno interrogato Daniela Cantamessa, ex segretaria del senatur, nell’ambito dell’inchiesta per riciclaggio su parte dei 49 milioni di euro che, secondo l’ipotesi investigativa, sarebbero stati fatti sparire all’estero.
L’ex dipendente del Carroccio, sentita come persona informata dei fatti, è stata convocata dopo una video intervista di 10 giorni fa al The Post Internazionale in cui accusava Roberto Maroni di avere sperperato i soldi della Lega e il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di non avere fatto nulla pur essendo stato messo al corrente. I 49 milioni di euro erano frutto della presunta maxi truffa che Bossi e Belsito avrebbero messo in piedi ai danni dello Stato, presentando falsi bilanci per farsi dare contributi non dovuti.
Cantamessa non aveva mai parlato dei soldi, nemmeno quando venne sentita come testimone nel processo di primo grado a Genova che ha portato alla condanna degli stessi Bossi e Belsito. Nel video però la donna sostiene che nel 2012 il senatur aveva lasciato nelle casse della Lega 40 milioni di euro. Dopo le sue dimissioni, il suo successore Maroni “invece di usare la struttura storica della Lega – ha raccontato la ex dipendente – utilizzava strutture esterne che avevano dei costi molto alti. Poi sempre nel 2012 è stato fatto un contratto all’avvocato di Maroni di qualche centinaio di euro all’ora. Poi è stato portato lì un commercialista, anche lui esterno e presentava fatture su fatture, nonostante la Lega avesse la sua struttura contabile che funzionava. A Salvini segnalai tutto, lui era vicesegretario federale, e con lui avevo un rapporto cameratesco. Era uno di noi. Gli dissi di fare qualcosa perché stavano sparendo tutti i soldi. Ma non si sbilanciò molto quando glielo dissi”.